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Crisi, debiti e interessi. Imprese in ginocchio

La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia

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Imprese alla canna del gas. Dopo il crollo dell'indice PMI Manifatturiero Italiano di un paio di giorni fa sceso ai minimi del 2009 a 43,3 punti (rispetto alle previsioni di 48,3), ieri è suonato un altro campanello d'allarme per il settore terziario in Italia che ha accusato una nuova contrazione in ottobre, la quinta consecutiva, portandosi su livelli che non vedeva da oltre due anni. L'indice Pmi elaborato da Markit/ADACI sul comparto servizi, che va dagli hotel alle banche, è infatti sceso a 43,9, minimo da giugno 2009, da 45,8 di settembre, allontanandosi ancora dalla soglia di 50 che separa la crescita dalla contrazione; il dato è nettamente inferiore alle attese degli analisti di 45,0. Nonostante la persistente pressione sul fronte dei costi, le società del settore servizi hanno tagliato i prezzi per il terzo mese di seguito con un ribasso che non si registrava dal maggio dello scorso anno, segno della debolezza della domanda. In calo, per il quinto mese consecutivo, anche l'occupazione, con il sotto-indice sceso in ottobre a 48,6, minimo dallo scorso gennaio, da 49,7 in settembre. Cosa significa? Che l'Italia sta rallentando proprio quando sperava di ripartire. Il manifatturiero, i servizi, le banche (che stringono i rubinetti del credito per non affogare nelle sofferenze e per mancanza di liquidtà). E come noi, l'intera Europa: col persistere della crisi dei debiti sovrani la stima finale dell'indice composito Pmi (Purchasing Managers Index) in Eurolandia a ottobre è sceso a 46,5 punti da 49,1 di settembre. Si tratta del livello più basso da 28 mesi a questa parte. I fondamentali traballano e l'economia reale è in pesante affanno. Anche sulla locomotiva tedesca non ridono: in Germania gli ordinativi per l'industria sono diminuiti bruscamente a settembre, del 4,3% rispetto ad agosto. Un calo simile, però, non si registrava dal gennaio del 2009, nel punto più basso della crisi dei mutui. Lo ha reso noto ieri il ministero dell'Economia tedesco a Berlino. Pesa soprattutto il calo della domanda da parte dei paesi dell'eurozona, sceso del 12,1%. Male anche la domanda interna, calata di tre punti percentuali. Ma pensiamo a casa nostra. Qual è il prezzo che il nostro sistema imprese sta per pagare a causa del crollo della credibilità politica e istituzionale? Una risposta arriva da Fabio Bolognini, già vicedirettore generale di Unicredit Banca d'Impresa, poi responsabile delle Pmi per Banca Intesa e ora amministratore delegato della Linker srl, una società da lui fondata proprio per assistere le Pmi nella gestione dei rapporti con le banche e nella ristrutturazione del debito. Che parte dai numeri. La precaria situazione dei nostri conti e del nostro debito pubblico hanno fatto schizzare verso l'alto i costi della finanza per le imprese. Gli spread applicati dalle banche sui finanziamenti a medio lungo termine sono saliti da un livello che ancora a metà 2010 stava tra l'1.50% e il 2,00% a livelli odierni del 5-6%. Per le reti bancarie si tratta solo di applicare istruzioni sui prezzi di listino che vengono aggiornate mensilmente. «Possiamo quindi tentare alcuni conti e stime - spiega Bolognini - basandoci semplicemente sull'impatto dell'aumento dello spread sui finanziamenti a medio-lungo termine che secondo il più recente bollettino statistico della Banca d'Italia erano pari a 371,1 miliardi di euro al 30 giugno 2011 per quanto riguarda le società non finanziarie, a cui dovremmo aggiungere altri 20 miliardi di leasing. I conti sono presto fatti, se utilizziamo uno spread medio di 150 punti base nel 2010, di 300 nel 2011 e di 550 nel 2012 la bolletta di oneri finanziari per le imprese passa rispettivamente da 11,7 a 17,6 a 27,4 miliardi ogni anno». Quindi il costo teorico della credibilità del paese sui conti delle imprese è di ben 15 miliardi di euro (a parità di costo del parametro euribor a 1,5%). Una stima più realistica dei costi che saranno effettivamente pagati dalle imprese, può essere fatta anche ipotizzando che solo un quinto dei finanziamenti e leasing in essere venga a scadenza nel periodo giugno 2011-giugno 2012 e che questa sia la finanza che le imprese devono sostituire a prezzi di mercato modificati. «Il costo aggiuntivo applicato su un valore che si ridurrebbe a circa 78 miliardi di euro sarebbe di circa 3,2 miliardi di euro all'anno», aggiunge Bolognini. «Ciò non toglie che se lo spread BTP-Bund e i costi di rifinanziamento delle banche non ritornassero ai livelli pre-crisi di fiducia ogni anno un'altra fetta dello stock dovrebbe essere rinnovata a costi crescenti». E se il motore non riparte, la macchina è da rottamare.

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