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Tutte favole

Jessica Rabbit è un personaggio immaginario del film d'animazione

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Arriva l'estate e puntualmente arrivano "i libri dell'estate": nella classifica dei più venduti in libreria spicca l'ultima fatica di Massimo Gramellini: l'uomo del cuore, quello dei buoni sentimenti, quello che riesce sempre a guardare avanti, insomma do "L'ultima riga delle favole", editore Longanesi, collana La Gaja scienza, ben 260 pagine, ma a popolarissimi euro 16,60, è quello che promette il titolo: una favola, in un'epoca nella quale di favole se ne raccontano tante. È la storia di un tal Tomàs, un po' timido, un po' sfiduciato di se stesso, che alla fine, affrontando una serie di prove, troverà il modo di indirizzare la sua vita e i suoi sentimenti sulla giusta strada. Il titolo è bello, puntuale e preciso e si poggia su una copertina coerente: appare un cuore (immancabilmente rosso fiamma), chiuso in una gabbietta da uccellini con una mano che lo prende con delicatezza: chissà, forse per carezzarlo, forse per farlo volare via. Non si sa se ce la farà. Un libro onesto, ma di maniera. Da quando esiste il mondo gli spiriti liberi che vogliono esprimersi usano delle allegorie. Raccontare favole è un modo per parlare con tutta libertà della realtà e del presente. Altro che favole. Come faceva Fedro, uno spirito ribelle della Roma antica, che a forza di scrivere di lupi e di agnelli finì in catene. Lo fece processare l'imperatore Tiberio che si era rotto delle feroci allusioni ai potenti. Il mondo di Fedro, come quello di Esopo e poi di de la Fontaine (quando si parla di fiabe loro per forza bisogna citare) è pieno di volpi, rane rospi e galline. Tutte belle bestiole che rappresentano vizi e virtù dell'uomo, antico e moderno. Con buona pace degli imperatori. Insomma la favola non è più una favola, diventa una sorta di distillato di realtà: una maniera per dirla tutta, un modo per essere ancora più graffianti. Come Voltaire con il suo Candido e, in tempi molto più recenti, George Orwell con la «La fattoria degli animali». E a tutti e due è costata cara. François-Marie Arouet (così si chiamava Voltaire) morì nella Parigi di Luigi XVI praticamente dimenticato e sembra che a Versailles, nei giorni della sua scomparsa, anche il più piccolo accenno alla sua opera venisse accolto dagli sguardi sdegnati e dai sonori sbuffi degli immancabili leccapiedi del sovrano. Sorte migliore non toccò a Eric Arthur Blair (Orwell), reo di aver inventato i maiali comunisti. Nel suo libro, infatti, il soviet supremo finisce nel porcile dato che gli occupanti null'altro sanno fare se non mangiare e comandare. Orwell, almeno in Italia, è stato per anni relegato tra gli autori di favolette per bambini alla pari con i puffi e, fino a non molti anni fa, chi ne ricordava l'esistenza era accolto dagli sguardi sdegnati e dai sonori sbuffi degli intellettuali di sinistra. E la favola primo romanzo di Gramellini? L'impressione è che finisca lì dove comincia. Ci sono buoni sentimenti e tanta speranza. Ma non ha il «graffio» che, in modo inatteso, alla fine esce anche da Biancaneve e La Bella Addormentata. Non per niente Gramellini è il titolare della rubrica «Cuori allo specchio», sul quotidiano La Stampa. Le unghie le tira fuori raramente, appena appena quando parla della squadra di calcio del cuore, una delle più sfortunate della storia: il Torino. Insomma con Gramellini Tiberio e Luigi XVI possono dormire sonni tranquilli.

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