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Dan Brown, l'illuminista che attacca la Chiesa

Dan Brown

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Archiviate le indagini sulla Chiesa, i misteri dell'Opus Dei e la vita di Gesù, nel nuovo romanzo di Dan Brown, «Il simbolo perduto», il professore Robert Langdon dell'Università di Harvard indaga sulla massoneria americana. L'iniziazione misteriosa di un 34enne, che beve vino rosso sangue da un teschio per suggellare la sua fratellanza massonica, avviene a pochi isolati dalla Casa Bianca. Langdon, convocato nella capitale americana dal potente massone Peter Solomon per una conferenza, scopre di essere caduto in una trappola. Fulcro della storia è il ruolo della massoneria nella costituzione degli Usa: massoni furono i padri della patria americana, da Franklin a Washington, così come lo furono i presidenti Roosevelt, Truman e Ford. Dan Brown (la cui trilogia ha venduto finora 120 milioni di copie) è da domenica a Milano, dove ha visitato il Cenacolo e il San Giovanni Battista di Leonardo. Poi, è andato alla prima della Scala, commentando nel foyer che quello del Piermarini sarebbe un ambiente perfetto per il suo prossimo libro. Brown (che prima di diventare scrittore ha pubblicato 4 cd e suona ancora il pianoforte) ha infine svelato la sua passione per la musica di Lucio Dalla. Mr. Brown, cosa l'affascina della massoneria? «Conosco le storie della P2 e della vostra massoneria, ma il concetto massonico che avete in Italia è molto diverso da quello americano. Oggi tutti si ammazzano perché ognuno crede in un dio che reputa il migliore. Ognuno ha una visione diversa del proprio dio. Allora la massoneria ha riunito ebrei, cristiani, musulmani e altri religiosi, esortandoli a dimenticare la semantica e a capire che, se tutti crediamo in un essere superiore, tutti siamo fratelli. Credo che questo sia un approccio molto giusto verso le varie religioni». Lei è iscritto alla massoneria? «La passione che coltivo per la sua filosofia, non è però sufficiente per iscrivermi: anche perché lì devi mantenere i segreti e a me piace svelarli». Dopo le polemiche su «Il codice da Vinci», come sono ora i suoi rapporti con il Vaticano? «Le controversie fanno bene. Dire che un'organizzazione ha sempre ragione è sbagliato. Io stesso, dopo qualche fischio che ha ricevuto Emma Dante alla Scala le ho detto: "Fidati, essere controversi è molto meglio che essere universalmente adorati". Il Vaticano fa ottime cose ma corre anche dei rischi: oggi la più grande minaccia per la Chiesa è l'apatia». Su quale altro mistero ruota il suo ultimo romanzo? «Racconto di un pittogramma cifrato, impresso sulla Chiave di Salomone che potrebbe evocare il potere del re d'Israele di scatenare i demoni, un'arma invincibile nelle mani sbagliate, capace di mettere a rischio l'intero pianeta». Dove trova l'ispirazione per le imprese del suo protagonista, Robert Langdon? «Scrivo thriller tra arte, architettura e società segrete, elementi che incuriosiscono i lettori. Ogni giorno, Natale compreso, mi alzo alle 4 del mattino per 7 giorni la settimana. Il parallelo tra stato di sogno e scrittura è importante. Il mio protagonista è un noetico, un anti-eroe che si batte con l'arma del suo sapere. Nel mio contratto con Hollywood c'è una clausola che impedisce al mio professore di usare arti marziali nei film». Quanta verità c'è nei suoi romanzi? «Non si può misurare. Ma certo la noetica di cui parlo e certi esperimenti, come pesare l'anima umana, o l'ubicazione di cripte e gallerie segrete a Washington, sono tutte vere». Cosa intende per noetica? «Una disciplina scientifica che studia la capacità della mente umana di influire direttamente sul mondo fisico. Dalle potenzialità della mente umana scaturiranno soluzioni anche per il problema del clima. Ma per ogni invenzione gli uomini hanno trovato un uso distruttivo: è quindi importante che la filosofia e l'etica si evolva più velocemente della tecnologia».

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