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Tra sogno e fiaba trionfa una Sicilia carica di suggestioni

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DOPO la politica e la polemica («Buongiorno, notte») e «L'ora di religione»), Marco Bellocchio torna alla psicologia. Senza arrivare fino alla psicanalisi (come nel «Sogno della farfalla»), ma con spazi ampi per i sogni o, meglio, per l'immaginato che si insinua nel reale. Si parte da un regista di cinema con un cognome curioso, Elica, e gli si fa abbandonare un film con cui avrebbe dovuto rifare «I Promessi Sposi». Per una crisi creativa, ma anche per sottrarsi a una situazione torbida ai limiti del codice penale. Da Roma, la sua nuova destinazione è la Sicilia barocca, in riva al mare. Qui si imbatte in un regista di paese, suo ammiratore, che campa realizzando filmini per i matrimoni della gente del posto. Gli chiede consigli ed Elica non glieli nega, a tal segno che quando un patrizio locale lo sollecita perché realizzi lui stesso un film sul matrimonio della propria figlia, non solo non si tira indietro, ma si impegna con un certo calore. Anche perché ha scoperto che quel matrimonio dovrebbe solo servire a rimettere in sesto le finanze del patrizio e che la figlia vi si piega a stento; così non solo pensa di muoversi in modo da mandare a monte la cerimonia, ma anche di andarsene via con la promessa sposa di cui, nel frattempo, si è innamorato. Attuando però quel piano solo a metà perché il matrimonio non si farà ma, in un finale aperto, la ragazza fuggirà su un treno e lui su un altro. Forse, comunque, con un'unica meta... L'immaginato. Al momento di tirare le somme, Bellocchio lascia che il protagonista pensi, visualizzandole, a molte soluzioni, talune drammatiche, altre addirittura sanguinose, servendosene non solo per illustrare a fondo il carattere di lui, ma anche quello degli altri due protagonisti, la ragazza, con i suoi turbamenti e le sue rivolte, il padre con un cinismo freddo e, nel palazzo avito, con modi e riti da Gattopardo. Evocando loro attorno non solo quella cornice siciliana carica, nella sua coralità, di suggestioni pittoriche, ma anche un'episodica minore che, specie se riferita al mondo del cinema, ha colori e sapori fra il grottesco e il polemico. A cominciare da quella di un vecchio regista (anche lui con un cognome curioso, Smamma) che, per vincere un premio, ha dovuto farsi credere morto... Il tutto proposto con un linguaggio che, con le belle immagini di Pasquale Mari, sa farsi stile ad ogni scena, sostenuto da musiche, rielaborate da Riccardo Giagni, in cui il classico si accompagna al moderno: senza fratture. Di segno eguale gli interpreti: Sergio Castellitto, ironico, ma anche spesso allucinato o malinconico come regista, Donatella Finocchiaro, una promessa sposa volutamente misteriosa. Il patrizio è Sami Frey, tornato al cinema con una grinta durissima.

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