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Radio e Festival, feeling da ritrovare

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Grignani e Venuti, bocciati all'Ariston, sono in testa nelle programmazioni dei network

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Un dato di per sé non significativo, ma che diventa allarmante se paragonato alla vistosa scollatura alla base della programmazione radiofonica e il resto del settore musicale. Ormai tutto l'ambiente discografico e il Festival di Sanremo sembrano proporre una terra dall'identità doppia, dove la modernità e il consumismo convivono con il tradizionalismo e gli apparati istituzionali. Parlano due linguaggi differenti, contrastanti, culturalmente lontani: a volte un fiume dolceamaro, altre volte un rigagnolo d'acqua dolce. Le vendette degli eliminati non costituiscono un fatto nuovo al festival, ma stavolta la valenza è diversa, soprattutto all'interno di una edizione fortemente zoppicante. Domina il tema del conflitto fra responsabilità e tentazione: da una parte il maledettismo senza limitismo di Grignani, il quale, anche da marito e padre continua ad evocare presso le giovanissime nottate fuori casa e pensieri ribelli, dall'altra l'universo musicale di Mario Venuti (solista o gruppo?) con spasmi poetici e "beat" secchi. In tutta questa confusione la vera resistente è la radio, inventrice del Festival di Sanremo, che continua a dettare legge, sia pure in un ventaglio di proposte musicali sempre più ristrette, schiave dei pubblicitari e un tantino reazionarie. C'è una serie tv che spopola negli Stati Uniti ma che in Italia non è ancora arrivata. Si intitola «I 4.400» e racconta la storia di un gruppo di 4.400 persone, misteriosamente rapite a distanza di uno, cinque e settant'anni e ricomparse tutte insieme sulla Terra nel 2006. Nessuno di loro è invecchiato dal momento della sua sparizione, né ricorda di essere stato sequestrato. La tensione di ogni episodio è molto alta, anche perché non si spiega chi ha rapito queste persone e per quale motivo. Ognuno dei protagonisti torna sulla Terra con un dono particolare: c'è una bambina di otto anni capace di prevedere il futuro e un ragazzo che guarisce le malattie direttamente dalla radio. Sarà un caso, eppure se è vero, come è vero, che il Festival di Sanremo è il papà di tutti i reality, sarà bene farci un pensierino per l'edizione futura. Perché una cosa è certa: prima Sanremo e il mondo radiofonico inizieranno a collaborare seriamente è meglio sarà per tutto l'ambiente musicale. Quando le due ragioni sociali marciavano di pari passo tutto girava a mille, mentre oggi l'emarginazione delle radio non è soltanto un fatto simbolico, legato all'ubicazione al palafiori, bensì un dato sostanziale. Accorciare le canzoni, sforbiciarle di qua e di là, cos'altro era se non la costruzione di un canone radiofonico che potesse accontentare radiofonici e discografici (mai come quest'anno così silenti, evidentemente perché sono stati accontentati)? Eppure non ha funzionato. Nel cuore dei network, non tanto della Rai, alberga il desiderio di organizzarsi il proprio Sanremo, naturalmente a vetrina, senza gara, e non è detto che non ci riescano. Meglio correre ai ripari immediatamente. Negli anni Novanta il festival ha vinto la battaglia del look - meno sarte, più arte - ora non deve perdere quella con chi ha creato l'evento: l'insostituibile radio.

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