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Quel parente di Claretta che morì partigiano ed eroe

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L'antifascista perse la vita con le armi in pugno il 10 settembre del '43 combattendo contro i nazisti

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Raffaele Persichetti era il nipote di Giuseppina Persichetti, consorte del professor Francesco Saverio Petacci, medico vaticano, quindi cugino di Marcello, Claretta e Myriam Petacci. Questi rapporti di parentela tra due famiglie romane anticipavano ciò che sarebbe accaduto, nel 1943-45, in migliaia di altre famiglie italiane, con padri, figli, cugini, nipoti schierati da una parte e dall'altra della barricata, fascisti e antifascisti, quando non proprio arruolati nelle brigate partigiane o nelle brigate nere. L'antifascista Persichetti morì, armi in pugno, nella (mancata, per la fuga dei capi) difesa di Roma; Marcello e Claretta Petacci (Myriam, attrice cinematografica, riuscì a riparare in Spagna) incontrarono il loro tragico destino lo stesso giorno, il 28 aprile 1945, l'uno a Dongo, l'altra a Giulino di Mezzegra, se si accetta la versione «convenzionale» della fine di Benito Mussolini e di Claretta, di cui ricorre quest'anno il sessantesimo anniversario. Altri destini si intrecciarono con quelli dei Petacci. L'ammiraglio Arturo Riccardi, amico del professor Saverio, padrino al battesimo di Marcello, testimone per la sposa al matrimonio di Myriam con Armando Poggiano (22 giugno 1942), ritratto di un film Luce mentre dà il braccio a Claretta, all'uscita della Chiesa di Santa Maria degli Angeli, dovette la sua nomina a Capo di Stato maggiore della Marina e Sottosegretario di Stato a queste influenti «amicizie particolari». Zita Ritossa, convivente di Marcello (quando lei era una semplice indossatrice e lui un medico alle prime armi) rimase sbalordita quando, nel 1937, il suo «amoroso» la invitò ad andare con lui a Genova, ospiti dell'ammiraglio. Lì per lì, la ragazza credette in uno scherzo o in una spacconata di Marcello. Ma, quando i due trovarono un motoscafo ad attenderli, quando Riccardi li trattenne a cena, facendo visitare loro la nave, Zita Ritossa cominciò a rendersi conto della influenza dei Petacci e chi fosse mai «Richard» (Mussolini) nel linguaggio criptico di Claretta e Marcello. Costanzo Ciano, eroe della Grande Guerra, padre di Galeazzo, aveva bollato Riccardi di incapacità e peggio: ciononostante l'ammiraglio restò al suo posto dall'8 dicembre 1940 al 25 luglio 1943, caduta del fascismo. Il Diario di Ciano — cronaca cruda e spesso sboccata di quegli anni — è severo sul personaggio: «A quanto si dice, tutta la Marina sa e ripete che l'ammiraglio Riccardi deve il suo posto alla protezione della Signora Petacci, e questa non è certamente una voce destinata ad accrescerne il prestigio». Non è affatto vero, peraltro, come voleva far credere il «figlioccio», che Riccardi fosse un fulmine di guerra. L'ammiraglio inglese Cunningham, suo avversario, comandante della «Mediterranean Fleet», lo ricordava... per l'abilità dei suoi cuochi in un ricevimento a bordo, avanzando il sospetto che dovesse averli prelevati in qualche grande albergo di Roma. Su un punto almeno Donna Rachele (che non poteva soffrire il genero) e Galeazzo Ciano avevano identità di vedute: il Duce si era fatto irretire da una «banda». Marcello Petacci era un maneggione, intrigante e affarista, tuttavia con un «passi» permanente a Palazzo Venezia. Pescava nel torbido con lui Guido Buffarini Guidi, sottosegretario agli Interni, che finanziava l'amante di Mussolini. Quando fu scoperto un traffico di sterline d'oro, con Marcello compromesso fino al collo, la misura fu colma. Quinto Navarra, cameriere personale di Mussolini, riferisce che questi arrivò a colpire con un pugno Claretta (che svenne) mentre la donna a voce alta, tentava di difendere il fratello. Guido Leto, ispettore generale di Polizia, disse: «Il dottor Petacci fa più male al Duce di quindici battaglie perdute». Gli «anni ruggenti» del fascismo e quelli meno eroici successivi — con Mussolini sempre più in decli

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