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Rapine, droga e scommesse. Ascesa e fine di Selis il sardo

Nicolino era diventato in segreto capozona romano di Cutolo. De Pedis e Abbatino lo scoprirono e ordinarono l'esecuzione

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Nato in Sardegna, ma trasferitosi quasi subito a Roma, Nicolino Selis sarà ben presto protagonista d'innumerevoli vicissitudini giudiziarie, favorito dalle perizie del professor Aldo Semerari, e si accrediterà giovanissimo come rass della zona a sud della Capitale. Appena ventenne, nel 1975, finisce per la prima volta dietro le sbarre, accusato di tentato omicidio plurimo, furto e altro. Dà vita, allora, a un'associazione di malfattori, dedita per otto mesi, dal gennaio all'agosto 1976, alle rapine. Ne fanno parte Fulvio Lucioli, Gianni Girlando, Gianfranco Urbani, Renato Capogna, Franco Apolloni e Raffaele Simeoni, ai quali si aggiungeranno, di volta in volta, altri complici. Il carcere di Regina Coeli, tra il 1975 e il 1976, per dirla con Antonio Mancini, è «una baraonda»: non vi sono cancelli e sono quindi, «possibili contatti tra tutti i detenuti, senza particolari controlli». Una situazione di questo tipo consente, per un verso, contatti senza problemi, sia all'interno sia all'esterno dell'istituto di pena, «agevolati talvolta anche dalle "guardie"», e, per l'altro, anche la possibilità di avviare, proprio dall'interno del carcere, la riconversione del crimine organizzato romano al modello vincente. Ed è con l'«Accattone», suo compagno di detenzione, che Nicolino Selis elabora per Roma un progetto associativo analogo a quello che Raffaele Cutolo sta attuando a Napoli con la sua Nuova Camorra Organizzata: «Mentre ero detenuto insieme a Selis a Regina Coeli - ricorderà Antonio Mancini - si parlava del fatto che a Napoli tal Raffaele Cutolo, che allora non era noto come lo sarebbe diventato in seguito, stava mettendo in piedi un'organizzazione criminale allo scopo di escludere dal territorio infiltrazioni di altre organizzazioni di diversa estrazione territoriale. Con Selis si decise di tentare su Roma la stessa operazione che Cutolo stava tentando su Napoli». I due aggregheranno un gruppo, cooptando in esso Edoardo «Operaietto» Toscano, Angelo «er Catena» De Angelis, Gianni «er Roscio» Girlando, Vittorio «er Coniglio» Carnovale e Libero Mancone. Questo gruppo si alleerà con la «batteria» di Franco Giuseppucci, Enrico «Renatino» De Pedis e Maurizio «Crispino» Abbatino, così da dare vita in tal modo al nucleo storico della Banda della Magliana. Passo importantissimo per la realizzazione del progetto di costituzione di questa nuova consorteria è l'evasione dello stesso Selis da Regina Coeli, insieme fra gli altri a Edoardo Toscano, Giuseppe «Guancialotto» Magliolo e Walter Gobbetti, a cui seguirà un incontro, a Fiuggi, tra tutti costoro e Cutolo, all'epoca latitante, e a cui saranno presenti anche Giuseppucci, Abbatino e Marcello Colafigli, finalizzato a concordare una strategia comune, compatibile, cioè, con gli interessi non sempre sovrapponibili sia dei romani sia dei cutoliani. Racconterà «o Professore», che dopo essersi «rumorosamente» allontanato dall'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa, nel febbraio 1978, aveva sollecitato un contatto con Nicolino Selis - da lui conosciuto presso il Centro clinico del carcere di Poggioreale, incontrato, di nuovo, presso l'Opg di Aversa, divenuto subito suo amico e di cui si fidava «ciecamente, allo stesso modo di come (si) fidav(a) di Enzo Casillo» - perché lo raggiungesse ad Albanella, dove si era rifugiato, nell'immediatezza dell'evasione, in una masseria che aveva fatto prendere da Giuseppe Lettieri. In occasione di quest'incontro, tra Cutolo e Selis viene stipulato un «patto segreto», in forza del quale il sardo, che della cosa terrà all'oscuro gli amici romani, diventa «capozona» cutoliano a Roma. Numerosi, da allora, saranno poi gli incontri fra i due, nella Capitale e a Fiumicino, nel ristorante «Bastianelli» e, almeno un paio di volte ancora, ad Albanella. In occasione di tali incontri, Selis si presenterà sempre «accompagnato da suoi uomini», con i quali, proprio per conto di Cutolo, si adopererà ai fini dell'individuazione della prigione dove le Br custodiscono Aldo Moro. Il primo fatto sanguinoso a cui Selis partecipa assieme alla neonata banda è l'omicidio di Franco Nicolini, padrone assoluto di tutte le scommesse clandestine dell'ippodromo Tor di Valle: «Chi aveva motivi per volere la morte di "Franchino il Criminale"», spiegherà Abbatino, «era Nicolino Selis, il quale ci chiese di aiutarlo nell'impresa per saggiare la nostra affidabilità nel momento in cui vi era la prospettiva di realizzare la fusione tra il nostro e il suo gruppo. All'epoca, stante l'interesse alla integrazione dei due gruppi, non chiedemmo al Selis di spiegarci puntualmente le ragioni per cui voleva commettere l'omicidio, d'altra parte il Selis ci disse che si trattava di un suo fatto personale e ci era noto, al riguardo, che tra il Nicolini e il Selis, vari anni prima, durante una comune detenzione dei due, vi erano stati dei violenti screzi, a Regina Coeli. Al progetto del Selis di uccidere il Nicolini non solo non ci opponemmo, ma lo aiutammo (...) perché anche il Giuseppucci vi era in qualche modo interessato, essendo disturbato dalla presenza del Nicolini all'ippodromo di Tor di Valle. «Per maggior chiarezza», spiegherà Abbatino, «il Giuseppucci riusciva quasi sempre a condizionare l'andamento di qualche corsa, il Nicolini, da parte sua, essendo un allibratore di un certo calibro e avendo un sostanziale controllo dell'ippodromo, spesso intralciava i programmi del primo». All'inizio degli Anni '80, però, i rapporti in seno alla Banda cominciano a deteriorarsi e le varie anime dell'organizzazione, divise da contrasti sempre più ampi e insanabili, gelosie e rivendicazioni, non riescono più a trovare compattezza, dando luogo ad una sorta di guerra fredda, che col passare del tempo degenererà in una vera e propria faida interna. Feroci i contrasti che esplodono nel «gruppo di Acilia»: Selis, all'epoca detenuto, se ne ritiene il capo e le sue pretese sempre più esose sono mal digerite, innanzitutto, da Edoardo Toscano, il quale quel ruolo non glielo vuole proprio riconoscere; ma anche dagli altri sodali, che, sebbene seccati dal suo atteggiamento, non hanno il coraggio di contrastarlo apertamente. Sarà, allora, un errore di valutazione, in ordine a quanto sta accadendo fuori dal carcere a perderlo: entrato in contatto con dei siciliani che gli assicurano la fornitura di tre chili di eroina, anziché dividere la droga in parti uguali tra i due gruppi che all'epoca costituiscono la banda, impartisce l'ordine di trattenerne due chili per i suoi e di darne solo uno agli altri. Passo falso clamoroso: l'«Operaietto» non attende altro e mostra subito la lettera ad Abbatino, fornendo la prova del «tradimento». Il «chiarimento» non è, più rinviabile e, quindi, viene combinato un incontro. Per precauzione, Nicolino Selis non va da solo a quello che sarà l'appuntamento con la morte: vi giunge in compagnia del cognato, Antonio Leccese, il quale, ad un certo punto, accampando un malessere, si allontana. Come sempre, però, i sicari non hanno lasciato nulla al caso: avendo previsto una simile mossa, mentre alcuni si prendono «cura» dell'avido Selis, il cui cadavere non sarà più ritrovato, altri attendono Leccese, testimone ormai scomodo, nei pressi della caserma dei carabinieri dove adempie giornalmente all'obbligo di presentazione, e lì lo freddano, senza pietà. Non avendo più alcuna notizia del «capozona» cutoliano a Roma, dal carcere di Ascoli Piceno, nel quale si trova recluso anche Cutolo, Giuseppe Magliolo, scrive una lettera con la quale fa presente che lui e «don Raffaele» esigono spiegazioni circa la scomparsa dell'amico. La banda oppone una sdegnosa fin de non recevoir: «o Professore» non ha titolo per mettere il naso nelle faccende interne dell'organizzazione capitolina; ma ritiene anche che Magliolo, visto il tono della lettera, rappresenti ormai un pericolo da eliminare al più presto. Lo faranno, ancora una volta, nei pressi di un Commissariato, nell'orario di presentazione. Stessa sorte toccherà a Michele «Guancialotto» D'Alto, che ritengono faccia parte del gruppo di velleitari che col Magliolo accarezzano il progetto di vendicare Selis.

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