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Il presidente di Federalberghi: “Basta green pass e restrizioni per stare in hotel”. I dati allarmanti di Roma

Pietro De Leo
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«Vedevamo la luce in fondo al tunnel con il calo dei contagi... e poi è arrivata la guerra in Ucraina». Bernabò Bocca, presidente Federalberghi, analizza con Il Tempo le condizioni del settore turistico.

Vedevate la luce in fondo al tunnel. In termini di numeri la fase Covid quanto ha influito sul vostro comparto?
«Abbiamo avuto cali di fatturato che nelle città d'arte, considerando il 2020 sul 2019, hanno raggiunto l'80%. Poi c'è stato un parziale recupero nel 2021, ma rapportato al 2019 siamo sempre ad un meno 50%. Qualsiasi azienda con cali di questo livello salterebbe per aria. Perciò quanto sta accadendo adesso non ci voleva proprio».

Quanti alberghi hanno chiuso in questi due anni? E com'è la situazione occupazionale?
«Le do un dato reale, che riguarda Roma: il 50% degli alberghi è chiuso, e l'altro 50% lavora con un'occupazione intorno al 30%. Sui posti di lavoro, la cassa integrazione Covid ha contribuito a salvarli, abbiamo avuto 3 mesi ulteriori, a fine marzo non ci sarà più e dunque sarà un grande problema: se non riparte la domanda, sono a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro».

 

 

Poi c'è il caro bollette, con dei contraccolpi importanti anche per il vostro settore.
«Gli alberghi sono aziende energivore, aperte 7 giorni alla settimana, 24 ore al giorno. Le prime bollette che stanno arrivando, del gas, sono tre volte quelle precedenti. A fronte di questo, la domanda non è certo quella pre Covid. Se aumentano i costi in maniera così considerevole significa lavorare in perdita».

Cosa vi aspettate dal governo?
«Per prima cosa, che i ristori non siano per pagare le tasse. Perché invece è accaduto esattamente questo: gli alberghi che li hanno presi, nel 2021 li hanno utilizzati per pagare l'Imu al 100%. Va bene che un settore riprende solo con la domanda, ma il fatto di far pagare il 100% di Imu con il 50% degli alberghi chiusi mi pare una cosa folle».

Altro aspetto?
«Quello occupazionale. Bisogna intervenire sul costo del lavoro, abbassandolo. In modo che al lavoratore rimanga lo stesso livello netto, ma cali il costo-azienda».

 

 

Sul piano delle norme antipandemiche, invece?
«Gli altri Paesi sono stati più rapidi di noi ad alleggerirle. In Italia per entrare in un albergo serve un green pass rafforzato, in Francia basta un tampone. In Spagna è tutto libero. Da noi stata fatta la scelta di privilegiare totalmente l'aspetto sanitario a scapito della competitività. Probabilmente andava trovato un punto di sintesi».

C'è la prospettiva di un abbassamento consistente degli arrivi dalla Russia, per via di guerra e sanzioni. Questo quanto influirà sul comparto?
«Molto. Il turismo dalla Russia non va tanto misurato in presenze, quanto nell'indotto che genera. Il turista russo ama lo shopping, i ristoranti, i buoni vini, gli ncc, con tutto quel che ne consegue. I russi non ci sono. I cinesi non ci sono, così come i giapponesi. Oggi noi dobbiamo puntare sul mercato interno, che ringraziamo tutti i giorni perché ci ha consentito di sopravvivere, e su quello europeo. Speriamo in una ripresa nel mercato americano, su cui ci sono dei segnali. Con un'incognita, però. Se l'Italia viene percepita come collocata in una zona del mondo in cui c'è la guerra, probabilmente gli americani penseranno mille volte prima di arrivare».

 

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