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"Non sappiamo se sono vivi". Il dramma dei genitori che stavano adottando figli ucraini

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C'è un dramma nel dramma della guerra in Ucraina. Le bombe hanno spezzato il sogno di tanti aspiranti genitori. E ora possono mandarlo in frantumi definitivamente.

Sono 120 gli italiani in attesa di adottare un bambino o una bambina in Ucraina. Uomini e donne in ansia prima di tutto per la vita dei piccoli. Ma timorosi anche che le bombe distruggano quegli incartamenti che consentirebbero loro di diventare genitori.

Alcune pratiche sono avviate, tante in dirittura d’arrivo. Dietro ad ognuna ci sono mesi e mesi di sofferenze, ma anche la gioia che ha alimentato i vari passaggi del complesso iter, tra documenti, viaggi e colloqui. E quando la speranza di abbracciare il bambino o la bambina sembrava divenire realtà, la guerra. Questo il limbo in cui si trovano 120 famiglie.

Fin dallo scoppio del conflitto, a quanto si apprende da fonti della Commissione adozioni internazionali, le sentenze di adozione non si possono più eseguire. Nessun blocco ufficiale, ma l’effetto è lo stesso. Ora oltre allo stop imposto dalla guerra, la paura: e se le bombe si abbattono sui tribunali, come si stanno abbattendo su molti sedi istituzionali e palazzi del potere? Coi carri armati in azione e i bombardamenti, il rischio è che i documenti vadano persi o rovinati, gli archivi distrutti. Tutto sarebbe da rifare. Pezzi di carta, pezzi di vita in fumo.

«In questo momento le adozioni in Ucraina sono un enorme punto interrogativo- dice il presidente di Cifa onlus, Gianfranco Arnoletti all’agenzia Dire - le adozioni sono bloccate per la guerra e noi non abbiamo uno strumento giuridico per poterle sbloccare. Al governo e alla Commissione per le Adozioni internazionali abbiamo chiesto di pensare alle famiglie italiane che sono in attesa, non appena verranno sottoscritti i protocolli per le uscite dei bambini dal Paese». La speranza è che venga avviato un iter accelerato.

Cifa for people è una Onlus che lavora per questo settore da 40 anni. Decenni di esperienza al fianco degli aspiranti madri e padri. L’iter prevede che una volta effettuata la domanda, il Tribunale del posto emetta la relativa sentenza. Da quel momento, se la risposta è positiva, devono passare 30 giorni perchè passi in giudicato. Per un mese, i genitori adottivi restano sul posto, in trepida attesa. Ma la guerra ha stravolto tutto. «Quando Putin ha invaso il Paese, ad alcune famiglie mancavano pochi giorni prima dell’inizio del mese richiesto dalle norme ucraine - spiega ancora Arnoletti- ma l’inzio del conflitto ha costretto queste persone ad abbandonare l’Ucraina e a tornare in Italia. Ovviamente senza bambini».

E ora, cosa può accadere? «In questo momento non abbiamo certezze- ammette amareggiato Arnoletti - Il nostro ufficio a Kiev non esiste più, abbiamo una sola referente con cui siamo in contatto telefonico. Ma questi contatti si affievoliscono mano a mano che passano i giorni. Non sappiamo quanto i bambini siano al sicuro. Siamo più tranquilli per chi vive nelle zone rurali, certo. Tremiamo al pensiero di quelli che vivono nelle grandi città, costretti a riparare nei tunnel della metro o in rifugi di fortuna. Temiamo di non poterli riabbracciare. Se le bombe distruggono gli archivi del Tribunale, poi, è tutto da rifare. Quei documenti sono pezzi di vita».

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