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L'appello di Paragone ai giudici: difendiamo i nostri diritti dalla stato di emergenza

Gianluigi Paragone
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C’è un giudice a Berlino?, chiedeva il mugnaio nella speranza di ottenere giustizia contro i soprusi del nobile. Quella fame di giustizia non si placa mai, prescinde dalle latitudini e dal tempo. C’è un giudice giusto?, è la domanda che anche adesso migliaia e migliaia di cittadini rivolgono alla Dea Bendata nella speranza che non ci siano trucchi e inganni. Il tema è urgente e delicato; e riguarda la disponibilità dei diritti di fronte a interminabili stati di emergenza, bolle entro le quali i governi cercano la soluzione (di forza) a loro più accomodante. L’emergenza Covid ha già bollato lo stato di diritto a furia di spallate, ora i dpcm poi i comitati tecnico-scientifici in luogo del parlamento, poi ancora decreti senza discussione in aula, persino faq che indicano le soluzioni a discussioni mai cominciate com’è accaduto con l’obbligatorietà del green pass per accedere alle mense. Questo approccio emergenziale sta generando cittadini di serie A e cittadini di serie B, sta discriminando i lavoratori, sta esasperando l’equilibrio sociale. Dal primo settembre il Green Pass esploderà nelle sue contraddizioni, più di quanto non abbia fatto ora. (Paradossale la rabbia dei vaccinati al ristorante perché i tavoli esterni sono riservati a chi non ha il Green pass: cosa fanno perdono coperti?)

 

 

Prendiamo il mondo della scuola: davvero non ci troviamo di fronte a una illegittima «selezione» del personale? Davvero è legittimo - anche sotto il profilo costituzionale - subordinare la propria prestazione professionale al possesso di un certificato che attesti un vaccino (gratuito) o un tampone (a pagamento)? E davvero si può pensare che un insegnante debba pagare per una opzione (il tampone) che viene ritenuta equipollente alla somministrazione del vaccino, che è gratuito? Oppure che l’accesso alla scuola venga meno nell’ipotesi di non riuscire a ottenere un tampone in tempo utile, vista la necessità di farne uno ogni 48 ore (tra l’altro senza che vi sia una scientificità rispetto a questa durata)? E, ancora, si può davvero pensare di utilizzare una opzione così invasiva per un periodo di cui non si conosce la durata? Davvero non ci sono giudici che smontino tali deliri? Passiamo ai trasporti. È mai possibile che per aerei e treni alta velocità si debba esibire il green pass mentre in metropolitana o sui treni locali è «tana liberi tutti»? Qual è la ratio? Se la risposta è evitare i contagi, allora non ci siamo proprio visto che un vaccinato può contagiare (come sta accadendo) un non vaccinato negativo al tampone appena fatto. E allora non avrebbe ragione un non vaccinato negativo al tampone di pretendere di sapere se il suo vicino di sedia sia in quel momento altrettanto negativo? Oppure pensate a un imprenditore o un uomo d’affari che non riuscisse a ottenere un tampone rapido nelle ore precedenti al treno (magari deve partire presto e ha ottenuto una convocazione il giorno precedente), non parte per mancanza di tampone vanificando un affare? Qualcuno potrebbe ribattere: ben gli sta così impara a non vaccinarsi. Ma non c’è alcuna legge che glielo imponga!

 

 

 

 

Io penso che arriveranno tanti ricorsi, ma in che tempi arriveranno le decisioni? E, queste decisioni, saranno prese guardando allo stato di diritto o saranno condizionate dalla pseudo bolla emergenziale? Trovare il famoso giudice di Berlino aiuterebbe non solo a riportare lo stato di diritto nel suo equilibrio, ma consentirebbe di tenere a freno quelle provocazioni (dai famosi «sorci agli arresti domiciliari» alle richieste di licenziamento per gli insegnanti che non si vaccinano, come se fosse un illecito, passando per le speranze di chi subordina l’accesso alle cure sanitarie al vaccino) che stanno esasperando gli animi. I nodi settembrini arriveranno presto al pettine, avremo un giudice in qualche angolo d’Italia che darà giustizia?

 

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