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Vaccino, Francesco Vaia rompe il fronte dei virologi: "La terza dose non serve, basta la seconda"

Dario Martini
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«Non è il momento di parlare di terza dose. Non è ciò che serve adesso. Prima dobbiamo spingere a fondo sulla campagna vaccinale. Abbiamo raggiunto una buona copertura a livello nazionale, il 67,25%. Ma, a mio parere, la soglia a cui dobbiamo arrivare è l’85%». Francesco Vaia, direttore sanitaria dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, indica le priorità nella lotta contro il Covid. Professore, Israele però è già partita con la terza dose e gli Usa lo faranno a breve, perché pare che dopo 8-9 mesi gli anticorpi diminuiscano. «Negli Stati Uniti la copertura vaccinale della popolazione è attorno al 50%. Dovrebbero concentrarsi sul convincere più americani a vaccinarsi. Un recente studio a New York, comunque, dimostra che la protezione del vaccino dalle ospedalizzazioni non è stata modificata dal diffondersi della variante Delta, mantenendosi sopra il 90%. Gli stessi dati israeliani, se interpretati correttamente non mostrano alcuna alcuna perdita di efficacia del vaccino contro la malattia grave. Invece, è abbastanza fisiologico che con il passare dei mesi si osservi un calo degli anticorpi. Ma è importante spiegare un cosa. Quando valutiamo i vaccini non dobbiamo considerare solo la risposta anticorpale. Ci sono anche la capacità neutralizzante, la memoria cellulare, i linfociti T. Insomma, abbiamo una memoria immunologica capace di rispondere ad un attacco del virus. Le dico un fatto personale che può aiutare le persone a comprendere meglio come funzionano i vaccini». 

 

 

Prego.
«Io avevo 20.000 anticorpi, ora ne ho 50. Ma sono tranquillissimo, proprio per i motivi che le ho detto. L’abbassamento degli anticorpi non significa che la mia risposta immunologica sia inferiore. Poi, quando arriveremo ad introdurre un altro richiamo, ciò dovrà avvenire per esigenze scientifiche, non per interessi industriali o legati al prezzo dei vaccini. Se la causa principale della ripresa dei contagi è rappresentata dalla persistenza di un’ampia fascia di popolazione non vaccinata e, in qualche misura, dall’emergere della variante Delta, non è chiaro quale potrebbe essere l’impatto di fare un richiamo con il medesimo vaccino a persone già vaccinate. Io condivido ciò che ha detto l’Oms, per cui adesso dobbiamo pensare prima a portare i vaccini nei paesi più poveri. Non è un discorso etico-moralistico, ma di sanità pubblica. Perché le persone che vivono in questi paesi si muovono, altrimenti dovremmo chiudere le frontiere».

Si discute molto di obbligo vaccinale, lei è favorevole?
«Vorrei partire da un aspetto. Guardiamo alcuni dati. Nel Lazio la copertura vaccinale è al 73,7%, in Lombardia al 70%, la media italiana è al 67,25%, fino a scendere alle ultime regioni come Sardegna e Sicilia. Questa fotografia va messa insieme a un’altra. Quella dello Spallanzani, che da sempre è lo specchio del Paese. Qui, abbiamo ricoverate in terapia intensiva 16 persone. L’83% non è vaccinato, l’11% ha ricevuto una sola dose e il 6% il ciclo completo. La situazione dei ricoveri non gravi è più o meno la stessa. E queste sono le percentuali anche di ciò che accade nel resto del mondo. Possiamo dire che il vaccino copre dalla malattia grave al 94%, e dal contagio oltre l’80%. Il restante 6% sono persone anziane molto fragili, con comorbilità o immunodepressi. Tutto ciò significa che il vaccino salva la vita, perché previene la malattia grave. Continuando su questa strada vedremo sempre più varianti benigne. Il virus alla fine diventerà una malattia come tante, similinfluenzale, come un raffreddore. Si assottiglieranno i casi gravi, poi in seguito diminuiranno anche i contagi».
 

 

 

Quindi, la variante Delta sarebbe benigna?
«Ha fatto aumentare i contagi. Ma non mi pare che abbia fatto sfaceli dal punto di vista delle ospedalizzazioni. Se rimaniamo in questa situazione, anche con aumento dei contagi, ma non della malattia, penso che non si debba più chiudere. La variante Delta non è la più cattiva. Il virus cerca di sopravvivere. La campagna vaccinale ha di fronte una corsa contro il tempo».
 

Qual è il livello ottimale per stare tranquilli?
«L’85% nella popolazione con più di 12 anni. Ci sono ancora 1 milione di persone tra 60 e 60 anni e 2 milioni tra i 50 e i 59 che non hanno ricevuto neanche una dose. È chiaro che con un bacino così ampio il virus continuerà a diffondersi».
 

È favorevole al vaccino per i bambini sotto 12 anni?
«Ho già avuto modo di dirlo. Ho mille perplessità per questa fascia d’età. Se vede cosa accade al Bambino Gesù, scoprirà che i decessi per Covid sono zero, i ricoveri in terapia intensiva zero e le degenze non gravi durano pochi giorni. Quindi, il rapporto rischi/benefici per quanto riguarda il vaccino pende dalla parte dei rischi. I bambini sono considerati da taluni, erroneamente, portatori di contagio. Tutti gli studi e le osservazioni empiriche dicono il contrario. Il contagio spesso nasce in famiglia ed è portato in famiglia da chi ha rapporti sociali, si muove di più, prende mezzi pubblici etc. Non mi pare che i bambini abbiano questa autonomia...».
 

Come la pensa sull’obbligo vaccinale?
«Sono assolutamente favorevole al vaccino, ma la decisione sull’obbligo vaccinale non spetta ai tecnici. È la politica che deve stabilirlo o meno. Però bisogna evitare di fare come con AstraZeneca, quando le autorità regolatorie e i decisori politici non hanno deciso e hanno fatto solo raccomandazioni».
 

È preoccupato dalla riapertura della scuola?
«È da maggio che lo dico: attenzione a quando riapriremo. Su scuola e trasporti avrebbe dovuto essere messa in campo una risposta di sistema, che invece è mancata. Inorridisco quando vedo i bambini costretti a indossare la mascherina in classe. Andavamo fatte due cose: aumentare il distanziamento tra gli studenti nelle aule e lavorare sui sistemi di ricircolo dell’aria che eviterebbe di aprire la finestre d’inverno facendo prendere la broncopolmonite ai ragazzi».
 

Quindi, niente obbligo vaccinale neanche nelle scuole?
«Chi fa lavori a contatto col pubblico, come il personale scolastico, le forze dell’ordine e chi lavora nella grande distribuzione, deve fare il vaccino».

 

 

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