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Alberto Genovese, parla la modella vittima dello stupro: "Credevo di morire"

Giada Oricchio
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La vittima della violenza sessuale subita dall’imprenditore delle start-up, Alberto Genovese, 43 anni, in carcere dal 6 novembre scorso, ha rilasciato un’intervista esclusiva al “Corriere della Sera”: “Non ricordo come sono arrivata nella sua stanza. Mi diceva ‘pippa’, mi sentivo in pericolo di morte. Sono soddisfatta che sia a San Vittore. Denuncerei di nuovo: quello che ha fatto a me, lo ha fatto ad altre ragazze nel corso degli anni. Non c'è alcun risarcimento in corso”.

E’ giovanissima, si deve ancora diplomare, la ragazza che il 10 ottobre scorso ha subito abusi da parte di Alberto Genovese durante e dopo una festa nell’attico dell’imprenditore a Milano. Assistita dall’avvocato Luigi Liguori, racconta al giornalista del Corriere della Sera, Giuseppe Guastella, di aver frequentato i party di Genovese tre volte in tutto a partire da giugno, “non c’era niente di strano a parte l’uso smodato di cocaina e cocaina rosa. In tutte le feste di Milano la trovi, ma non così tanta”. Quella sera, lei e la sua amica erano indecise se andare o no alla festa e intorno alle 22.30 stavano per lasciare “Terrazza Sentimento”: “Lui aveva cominciato a essere molto molesto nei nostri confronti,ci seguiva. Era come se ci stesse puntando. Infatti, ci siamo dette:“Stiamo sempre insieme,non ci separiamo mai” (…). Abbiamo notato subito che c’era un ambiente strano”.

La modella ricorda che nessuno le aveva presentato Genovese ma che dal modo di fare lo riteneva “arrogante”, e aggiunge: “Ci ha passato qualcosa che solo io ho preso volontariamente, la mia amica ha detto che ho cominciato a comportarmi in modo strano. Era intorno alle 22. Poi ho perso la memoria”. Non sa come sia arrivata in camera da letto: “Solo dopo l’arresto ho saputo quello che era accaduto. Ho solo alcuni flash (…). Poi hanno cominciato a sovrapporsi i ricordi, i dolori,le manette, lui che si comportava in modo violento e voleva ancora costringermi ad assumere droga. “Pippa”,diceva. Ho capito che ero in pericolo di morte e ho mandato messaggi alla mia amica. (…).Lui era sempre intorno a me, avevo paura della sua reazione. (…) Ho chiamato la mia amica che è venuta immediatamente sotto casa. Ho detto: “O mi fai scendere o lei chiama qualcuno”. Quelle ore sono un groviglio di paura e vuoti dolorosi: il rotolo di banconote bruciate nella sua borsa, il telefonino lasciato all’ingresso che è rispuntato nella stanza degli orrori, la Volante della polizia fermata per denunciare la brutale aggressione. La ragazza smentisce categoricamente che lei e Genovese fossero innamorati: “Nemmeno lo conoscevo. Se i miei genitori mi hanno cercato? Ovviamente sì, mi vogliono molto bene, ma era già capitato che non rispondessi per un intero pomeriggio. (…). Dopo che ho denunciato la violenza li ho avvisati”. Adesso a farle più male sono i giudizi della gente: “Hanno detto che sono una escort. Io non ho mai fatto niente del genere. (…). Tutto questo mi sta facendo soffrire molto perché non lo trovo giusto. È come se volessero farmi pentire di aver denunciato”, ma lo rifarebbe di nuovo: “Non c’è soddisfazione maggiore per me di vedere quell’uomo a San Vittore per causa mia”. In merito all’indiscrezione di un risarcimento, la 18enne precisa: “Abbiamo preso solo un caffè con delle persone tra cui alcune che tempo fa, hanno avuto rapporti con lui. (…). Non ci sono trattative in corso per un risarcimento”.

Su Daniele Leali, l’amico di Alberto Genovese che le ha invitate alla festa (il pr ora è a Bali, nda): “E’ venuto a parlarmi per Alberto tre giorni prima dell’arresto, gli era giunta voce di quello che era accaduto”. Infine la giovane vittima chiede un po’ di pietas e ammette: “Se potessi tornare indietro, ci sono alcuni comportamenti che cambierei”.

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