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Tokyo 2020, l'Italia d'oro non smette più di correre: record di medaglie olimpiche

Tiziano Carmellini
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Difficile spiegare quanto successo ieri, o meglio nell’ultima settimana di sport olimpico che ha visto l’Italia protagonista come mai prima, segno di una nazione che torna a correre alla faccia di tutto e tutti. Difficile credere che sia tutto vero e invece è proprio così. Miglioriamo quanto fatto a Rio e pure di tanto, in una seconda settimana a cinque cerchi che ha dell’incredibile dopo un avvio in sordina e i mille dubbi, legittimi, che un po’ tutti avevamo avuto. Perché i nostri avevano steccato in discipline nelle quali da sempre eravamo protagonisti senza confermare quanto fatto in Brasile. E invece eccoci qua, con la miglior Olimpiade di sempre, con cinque ori incredibili nell’Atletica storicamente regina della manifestazione che ci aveva però visto nell’ombra per decenni. Eravamo rimasti aggrappati ai tratti nervosi di Pietro Mennea in quelle immagini a colori sbiadite che raccontavano le imprese della freccia di Messina in quei 200 metri da leggenda. E ancora ai salti d’oro della Simeoni, d’argento della May, qualche guizzo di Fiasconaro, la marcia di Bordin, la resistenza di Baldini e l’amarezza di Schwazer e poi poco altro davvero. Ma adesso che i colori sono nitidi e le immagini viaggiano in 4K siamo tutti ben focalizzati sui nostri nuovi eroi che arrivano proprio dall’atletica. Non che le imprese degli altri azzurri, compreso il fantastico oro nel karate, valgano meno, sia chiaro, ma la svolta data dal nostro movimento dell’atletica è clamorosa. Abbiamo l’uomo più veloce del mondo, quello che salta più in alto, quello con la maggior resistenza e un gruppo di quattro ragazzi in grado di schiantare chiunque al mondo sul giro veloce: corazzate britanniche e americane comprese.

 

L’olimpiade dei record
I tre ori di ieri nella 4x100 maschile composta da Patta, Jacobs, Delosu e Tortu, nei 20 km di marcia targati Antonella Palmisano e nel karatè di Luigi Busà, ci fanno salire a quota dieci: pazzesco. Altro record abbattuto a Tokyo in un medagliere che non solo ci vede (almeno al momento) davanti alla Germania di misura, con la Francia staccata, ma anche al settimo posto totale: insomma siamo una potenza nello sport mondiale. E se alcune discipline ci hanno visto faticare, probabilmente per un semplice ricambio generazionale, in altre siamo stati la sorpresa: per tutti, noi compresi. Vero, ci sono mancate le squadre, lì potevamo davvero fare meglio ma lo sport in questo senso è una sentenza: difficile pensare di vincere solo perché si è accreditati a farlo. Le Olimpiadi non fanno sconti a nessuno.

 

Gli inglesi ci odiano
Patta, Jacobs, Delosu e Tortu. Ma anche Chiesa, Donnarumma, Chiellini e Bonucci che ricorda agli inglesi quanta pasta devono ancora mangiare prima di batterci. Nell’anno fantastico dell’Italia sportiva, ci sono capitati più volte tra i piedi gli inglesi e le hanno sempre prese. Alla faccia di quella Brexit che aveva condizionato la vita di molti nostri connazionali volati Oltremanica in cerca di fortuna o semplicemente di un lavoro decente. E ancora una volta lo sport vendica il sociale perché dopo la lezione rimediata in patria nella finale dell’Europeo di calcio, anche sull’ovale più veloce del mondo li abbiamo bastonati e di brutto. Quel piegamento in avanti di Tortu (fenomeno dopo la delusione della «sua» gara), dimostra l’attitudine al sacrificio, la capacità di non mollare mai. Quelli siamo noi, con tutti i nostri pregi e difetti, ma quando c’è da sbattersi non ci tiriamo mai indietro. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: Italia 2, Brexit 0 con buona grazia della Regina Madre.

 

Il riscatto di Malagò
Ma i vincitori di Tokyo non sono solo in campo. Lo hanno bombardato, hanno provato a «gambizzarlo» in tutti i modi, togliendo potere al movimento sportivo, scippandogli la cassa di dobloni d’oro, smontando di fatto il Coni cercando di togliere allo sport quell’autonomia che gli veniva riconosciuta da sempre. Ma era apparso chiaro, più volte, che l’obiettivo finale fosse Giovanni Malagò, l’uomo al vertice dello sport italiano. E invece proprio lui si è svelato la gallina dalle uova d’oro riportando in Italia una quantità di medaglie senza precedenti, uscendo ancora una volta vincitore: silenzioso. Ma a Malagò che gli vuoi dire!? Fa bene il suo lavoro, ha tenuto vivo un sistema che in molti, governo in testa, hanno provato a smontare in ogni modo e adesso viaggia lanciatissimo verso i vertici dello sport mondiale. Anzi, ora occhio… che prima o poi qualcuno proverà a sfilarcelo come già successo con molti manager di successo. Perché stavolta non c’è stata partita: ha stravinto lui.

 

Boomerang sulla Raggi
Aveva fatto del «no» a Roma uno dei punti cardine della campagna elettorale, su quell’onda grillina del rinnovamento che poi si è dimostrata tutt’altro: per lei sicuramente un boomerang. E così è stato anche per i Giochi 2024 che avevano visto Roma in pole position, grande favorita prima del no della sindaca Raggi: era il 21 settembre 2016 e aveva spalancato la strada a Parigi. Adesso quel «no» se lo ritrova spalmato in faccia: perché quando cambia il vento le bandiere girano, tornano indietro e fanno male. Sarebbe stata forse l’unica chance concreta per essere rieletta prima cittadina e invece passerà alla storia non solo per essere stata uno dei sindaci peggiori della Città Eterna, ma anche per colei che disse «no» ai Giochi di Roma. È incredibile, ma è tutto vero e stavolta lo sport si è fatto giustizia da solo.
 

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