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Quell'onda libera

Tre interventi per ogni tempo consentiti dal regolamento sul diritto di cronaca sportiva

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Bastava avere una radiolina, ed era fatta! Una volta era «onda libera», il contatto umano che riusciva a tenere incollati i tifosi alla propria squadra la domenica pomeriggio. Una seduta spiritica, vissuta con trepidazione, che pantografava quanto accadeva in campo e con una visione sempre, in un modo o nell'altro, di parte. Una finestra sul mondo aperta dal tifoso, attraverso la quale osservare, da lontano (ma sembra così vicino) quel che accade laggiù. Ora il tritacarne mediatico e il business dei «diritti» sta trasformando la radiocronaca della partita di calcio effettuata da quelle che vengono definite le «radio locali», un lontano ricordo. Un triste squarcio informativo che priva così gli utenti, ossia i tifosi, della cronaca vera: quella minuto per minuto vissuta dall'inviato del caso, con tanto di urlo, brivido e magari qualche strafalcione. Insomma, quello al quale buona parte dei tifosi italiani sono abituati da anni e del quale a fatica potranno fare a meno. E scatta la protesta, unanime: quella dei cittadini della Capitale (tanto per fare un esempio), appoggiati dalla politica che scende in campo per trovare una soluzione che faccia felici tutti. Difficile uscire indenni dal campo minato delle nuove normative che, con l'ennesimo giro di vite, impediscono la trasmissione in diretta delle gare sulle emittenti private. La regola è chiara: la Rai ha acquistato i diritti dall'advisor (Infront) scelto dalla Lega Calcio alla cifra, non indifferente, di otto milioni di euro per gli anni che vanno dal 2010 al 2012. Fin qui tutto regolare e in linea con quanto già successo in passato quando però, con le radio locali (che non fanno certo concorrenza alle grandi emittenti nazionali Rai compresa) si chiudeva un occhio. Ora invece i controlli della Lega sono a tappeto e alle «private» sono concesse solo delle «finestre informative» e anche piuttosto strette: il diritto di cronaca parla di tre minuti ogni quindici di gioco per un totale di massimo sei interventi, tre per ognuno dei due tempi di gara. E senza fare cronaca spicciola, ma limitandosi semplicemente a un racconto di massima dove i condizionali si sprecano. Un giro di vite inutile che costringe i tifosi della Roma o della Lazio tanto per restare in città (ma è così in tutto il resto d'Italia), ad ascoltare le altre partite, aspettare che la regia Rai faccia il giro completo dei campi, prima di potersi godere qualche minuto della propria squadra del cuore. Una privazione sciocca della quale si potrebbe discutere a lungo se non ci fossero una serie di regole rigide a sancirla. Non ultime quelle imposte dalla Lega nell'ultima asta per l'assegnazione dei diritti radiofonici. Nel presentare l'offerta la Lega Calcio oltre a vietare a tutti coloro che non hanno i diritti di fare la cronaca in diretta delle gare (sia allo stadio che da casa), ha proposto l'idea «innovativa» di vendere quelli che vengono chiamati i «secondo diritti». Ossia la possibilità di fare quattro interventi da due minuti ciascuno per ogni gara. Diritti che ovviamente nessuno ha acquistato, non fosse altro perché sono anche inferiori rispetto a quelli previsti dal famoso «diritto di cronaca». Ma non è tutto perché per i trasgressori le pene (prima inflitte dalla Lega adesso dalla Agcom: l'autorità per le garazie nelle comunicazioni) si sono indurite... e di molto. Si rischia addirittura la chiusura dell'emittente per un minimo di due mesi. Una follia che non fa che allontanare ulteriormente i tifosi, già alle prese con l'odiata tessera del tifoso, dagli stadi. Ma soprattutto l'ennesima negazione di un diritto per quella che sta diventando la società dei divieti. E pensare che una volta bastava solo una radiolina.

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