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Zoeggeler, bronzo sulla pista della morte

Armin Zoeggler

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Lo spettacolo doveva andare avanti, e così è stato. Seppur con le bandiere a mezz'asta e i caschi degli atleti listati a lutto, la gara di slittino insanguinata dalla morte del georgiano Nodar Kumaritashvili si è svolta e ha fatto registrare l'ennesima impresa dell'azzurro Armin Zoeggeler. Un bronzo che vuol dire cinque medaglie nelle cinque edizioni dei Giochi invernali a cui ha partecipato: un terzo posto a Lillehammer, l'argento di Nagano e i due ori di Salt Lake City e Torino. Meglio di lui hanno fatto i tedeschi Loch e Moeller, avvantaggiati da condizioni atmosferiche e materiali, ma il bronzo di Vancouver basta a persuadere il 36enne carabiniere di Foiana che no, non è ancora il tempo di smettere: «Continuerò a gareggiare», le sue prime parole dopo l'impresa. Eppure, tra festeggiamenti e abbracci, è stato impossibile dimenticare la morte di Kumaritashvili avvenuta appena 48 ore prima. Ieri il Wall Street Journal ha pubblicato un'intervista al padre del georgiano scomparso, David, anch'egli slittinista in gioventù. «Avevo sentito Nodar al telefono 24 ore prima dell'incidente - ha detto - e lui mi aveva confidato di aver paura di una di quelle curve. Io gli ho suggerito di mettere le gambe a terra e rallentare, ma lui mi ha risposto che se avesse cominciato la gara, l'avrebbe finita». «In tutti gli sport esistono dei rischi - ha concluso David Kumaritashvili - ma non ho mai sentito che un atleta possa morire per un suo errore». Dichiarazioni che gettano un'ombra ulteriore sulle resposanbilità della Federazione internazionale (Fil) e dei progettisti della pista di Whistler. L'ambiguità della Federazione non aiuta a dissipare i sospetti. I tecnici della Fil hanno dapprima addossato all'atleta la responsabiltà dell'incidente mortale e assolto la pista, per poi accorciare la stessa e alzare le barriere nel punto in cui Kumaritashvili aveva perso il controllo dello slittino. Senza contare tutti i parametri che la Federazione aveva imposto ai progettisti e che questi ultimi non hanno rispettato: il dislivello tra partenza e arrivo doveva essere di 149 metri e invece era di 152, gli atleti dovevano raggiungere al massimo una velocità di 137 chilometri orari e invece alcuni hanno sfrecciato oltre i 155. La tragedia poteva essere evitata? Probabilmente non lo si saprà mai. Ma per le piste che verranno progettate in futuro i 137 km/h saranno un limite tassativo. Perché sentirsi «proiettili umani lanciati in pista come in un crash test» - parole dell'australiana Hannah Campbell-Pegg - non è accettabile neanche da chi fa della velocità il proprio mestiere.

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