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Di Luca, torna l'incubo

Danilo Di Luca ancora

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«Il ciclismo è lo sport più pulito in assoluto perchè è il più controllato. Forse dieci anni fa erano tutti dopati, adesso non è più così perché il doping non è più avanti rispetto all'antidoping». Così parlava Danilo Di Luca nella sua Pescara, in occasione dei Giochi del Mediterraneo e commentando anche la positività al Cera di Davide Rebellin alle Olimpiadi. Proprio l'Epo di terza generazione ha inchiodato l'abruzzese della Lpr, che in questo finale di stagione avrebbe voluto combattere sulle strade della Vuelta e al Mondiale di Mendrisio, adattissimo ai suoi mezzi. A 34 anni, il «Killer di Spoltore» si ritrova sbattuto in prima pagina così come capitò proprio a Rebellin, ma anche (solo per restare in Italia) ai vari Riccò, Sella e Piepoli. L'abruzzese è stato trovato positivo in due occasioni del Giro del Centenario che ha poi chiuso al secondo posto, al termine della tappa di Arenzano del 20 maggio e di Benevento del 28. Ad effettuare i controlli è stato il laboratorio di Parigi di Chatenau-Malabry dell'Uci, che ha ufficializzato la notizia sul suo sito web ed ha sospeso il corridore, che ora rischia due anni di squalifica e che chiederà le controanalisi convinto che qualcosa, in Francia, non sia andato per il verso giusto. Oltre ai due anni di stop, l'Uci chiederà al Tribunale nazionale antidoping del Coni la cancellazione di tutti i risultati ottenuti dall'abruzzese dopo il 20 maggio scorso. «Se anche le controanalisi dovessero confermare la mia positività, smettero di correre» il primo commento di Danilo Di Luca. È incredulo e arrabbiato. «Ma sarei stato così stupido da prendere la Cera un anno dopo che è stata scoperta a Riccò, Sella, Rebellin, al Giro d'Italia poi?» sembra chiedere a se stesso. Un incubo che torna. La decisione del Giudice di ultima istanza del Coni, che decise di assolverlo al termine dell'udienza del 16 aprile dell'anno scorso, aveva chiuso per Danilo Di Luca la pagina più amara della sua prestigiosa carriera. La richiesta del procuratore antidoping Ettori Torri era di due anni di squalifica, ma i giudici decisero di assolvere il corridore abruzzese, permettendogli così di presentarsi ai nastri di partenza del Giro d'Italia poi vinto dallo spagnolo Alberto Contador. L'abbruzzese in carriera è stato già condannato a 3 mesi per la frequentazione con il professor Santuccione: erano stati riscontrati valori ormonali anomali, dopo la tappa del Giro dello Zoncolan, nell'ambito dell'inchiesta «Oil for Drug». Per il mondo del ciclismo un'ulteriore mazzata.Le reazioni oscillano tra l'incredulità e l'amarezza. "Non ho parole - dice il ct del ciclismo Franco Ballerini - mi lascia basito il fatto che un corridore importante si trovi positivo a un prodotto che l'anno prima aveva messo fuori causa altri suo colleghi. Sì, direi che questo è un colpo per il ciclismo". Anche più duro il presidente della Federciclismo, Renato Di Rocco: «Con questo nuovo insulto all'intelligenza, prima ancora che all'etica professionale e alla fiducia degli sportivi ed ai danni al sistema ciclismo, siamo di fronte all'ottusità e all'irresponsabilità assoluta, se ci sarà la conferma definitiva». Si appella al beneficio del dubbio Angelo Zomegnan, direttore del Giro, ma con poche speranze: «Una volta di più il Giro d'Italia, che da sempre sta dalla parte della pulizia e che nel 2009 ha investito nella caccia al doping come mai era accaduto nei primi 100 anni, si scopre vittima di vicende negative, che obbligano noi organizzatori a valutare azioni appropriate a tutela dell'evento nella sua sostanza e nella sua immagine».

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