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Italia paese di poeti e allenatori

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Anche se Moratti la pensa diversamente - ma a Milano il partito anti-Mourinho e pro-Mancini fa proseliti - all'estero la fiducia nella bravura, nel carisma, nel fiuto della vittoria dei tecnici tricolori ha ormai infranto tabù storici. Basti pensare a cosa succederebbe se l'Italia o la Francia dei tronfissimi galletti decidessero di affidarsi a un Ct tedesco. Due popoli si sentirebbero defraudati della loro sapienza calcistica e, al primo errore, chiederebbero la testa del «barbaro». Gli inglesi, pur definendosi gli inventori del football, sono un popolo più pragmatico e, dopo anni di insuccessi, non ci hanno pensato più di tanto ad affidarsi a un vincente di professione come Fabio Capello. Qualche miglio più a occidente, in Irlanda, detta legge Trapattoni, che da noi era considerato bollito e catenacciaro. «Nemo propheta in patria», si diceva una volta. Tutti ci cercano, ma a noi piace abbandonare la madrepatria? Un tecnico italiano è uno abituato a pressioni di ogni tipo, a stare sempre sotto i riflettori, a centellinare ogni parola prevenendone fraintendimenti. Ovvio che, in queste condizioni, il lavoro all'estero diventi quasi una passeggiata. Inoltre, si visitano posti nuovi e si imparano altre lingue. Sempre di ieri è la notizia che si è liberata la panchina dell'Iraq. Sono disoccupati, tra gli altri, Somma, De Biasi o Mancini. Vogliamo scommettere che toccherà a uno di loro?

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