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Giani vuole inseguire ancora il sogno olimpico

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In progetto l'ingresso nello staff tecnico del ct Montali: «Posso essere ancora utile»

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Ieri sera a Firenze è stata festeggiata la 473ª ed ultima presenza di Andrea Giani in azzurro. Il «Giangio», recordman in Nazionale, ha esordito il 6 maggio dell'88. Ha compiuto 17 anni da quindici giorni. Per uno che ha esordito in serie A due anni prima, è quasi naturale. Da quel giorno è un susseguirsi di successi: World League, Europei, Mondiali. A raccontare tutto il palmares andrebbero via fiumi di inchiostro. Ma le favole hanno un termine. Anche se la rincorsa al sogno olimpico potrebbe continuare nello staff azzurro: «Anche se non in campo, potrei esssre ancora utile». Andrea, finisce l'avventura in azzurro. Se pensi al futuro che sensazioni hai? «Sono sereno. In primo luogo perché, nella sostanza, l'addio alla Nazionale si è già consumato da un anno, e poi perché lascio un'Italia formata da un grande gruppo. Per il futuro sono molto fiducioso. I ragazzi hanno margini di crescita importanti». Mondiali, europei, World League. Se dovessi sceglierne uno? «Sicuramente il mondiale del '90. Non perché è stato il primo, ma perché è stato determinante per il gruppo. Venivamo dal successo nell'Europeo ma a livello mondiale la sfida era più difficile. Cuba era fortissima. Con loro avevamo sempre perso, nelle amichevoli estive e nella gara nel girone eliminatorio. Quando abbiamo vinto la finale, abbiamo capito che potevamo aprire un ciclo». Alla lista dei successi ne manca uno. Ma l'oro olimpico è davvero un incubo? «No, assolutamente. Un rammarico, quello si. Ma non mi toglie il sonno la notte. E poi, non avremo toccato il cielo con un dito, ma ci siamo andati vicino, vicino». Barcellona '92? Atlanta '96? Atene 2004? In quale delle tre hai davvero visto il sogno svanire? «A Barcellona eravamo fortissimi, un dream team: l'abbiamo buttata via, giocando male. Ad Atlanta ci è mancato poco, credevamo fosse la volta buona. E l'ultima... è andata così». Hai avuto tanti allenatori. Scegliamone tre. Velasco, Bebeto, Montali. «Tre coach che ho avuto anche nel club. Sono il meglio del meglio del volley. Velasco è l'obiettività; Bebeto la lungimiranza; Montali l'organizzazione. Julio è un mix: l'ho visto farci delle strigliate tremende e restare lucido in momenti difficilissimi. Bebeto è il più passionale dei tre, mentre Giampaolo, all'inizio della carriera era «caldissimo», ora è sempre pacato e misurato». L'Italia è ai vertici del panorama del volley da quasi vent'anni. Perché? «Per due motivi concomitanti. C'è stata programmazione. Ma c'è anche stata una lunga, lunga generazione di talenti. Se si vuole continuare a vincere si deve insistere sui giovani».

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