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Se l'Italia rischia di sparire

Gli scenari devastanti tra meno di un secolo senza misure serie contro il surriscaldamento del pianeta

Marco Caroni
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Uno scenario che, nella peggiore della ipotesi sul piatto, porterà ad un innalzamento della temperatura media della Terra di 6-7° centigradi, con zone che raggiungeranno anche i +11°, con effetti devastanti. In Italia, a causa del surriscaldamento del pianeta, rischiano di scomparire per prima Venezia, poi il polesine, col delta del Po e parte della pianura padana e, nel meridione, migliaia di chilometri quadrati di Puglia. Siamo insomma ad un passo dal punto di non ritorno ed anzi molti effetti irreversibili sono già evidenti e senza possibilità di recupero. È drammatico il quadro che il dottor Roberto Morabito, direttore del dipartimento Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali ENEA ha tracciato nel corso del suo intervento nell'ambito del convegno sulla fusione nucleare e le energie rinnovabili svoltosi presso la sede romana dell'agenzia. Il pianeta Terra soffre da decenni per l'aumento della temperatura provocata soprattutto dall'aumento di CO2 nell'atmosfera e l'impennata di numerosi indicatori dice che siamo davvero prossimi a quella che gli anglosassoni definiscono senza bisogno di traduzione alcuna zona “Fuck”. Per il momento ci siamo addentrati nell'area “Oops”, quella in cui – per intenderci – una volta accertato che il cambiamento climatico è evidente e che, soprattutto, le cause sono sostanzialmente antropiche si può quantomeno provare a limitare i danni. Perché i danni ci sono e ci saranno comunque, anche se sin da “ieri” .  “Siamo già in ritardo – ha spiegato Morabito – perché quando ci siamo accorti che il 2015 era stato l'anno più caldo degli ultimi 140, ovvero da quanto si dispone di rilevazioni a livello mondiale e che gli anni immediatamente precedenti e successivi poco si scostavano da questo, si è compreso pienamente che la pur produttiva conferenza sul clima COP21 gettava basi importanti ma non sufficienti. E in quello stesso anno, il 2015, avveniva un'altra importante cosa a conferma, quantomeno, dell'accettazione universale del cambiamento climatico antropico in atto: l'enciclica di Papa Francesco “Laudato si'” dove per la prima volta l'uomo è definito custode e non padrone del creato. Da lì si parte”. I dati illustrati e commentati, tratti sostanzialmente da materiale governativo e NASA statunitense, lasciano poco spazio alle chiacchiere. “Per anni si è sostenuto che l'aumento di anidride carbonica nell'atmosferica seguisse l'andamento della storia geologica e geofisica della Terra. Non è così: analizzando i campioni d'aria intrappolati nei ghiacci antartici, che stanno velocemente scomparendo, si è verificato che negli ultimi 650mila anni mai la CO2, pur offrendo fluttuazioni cicliche, aveva superato la soglia di 300 parti per milione. In questi ultimi anni abbiamo superato le 400, tremendamente vicina a quella soglia limite di 500 considerata come quella di non ritorno. L'impennata che si è avuta dalla rivoluzione industriale in poi non ha nulla di naturale”. Gli effetti sono evidenti: aumento medio delle temperature mondiali attestato già attorno ad 1°C, con conseguente scioglimento dei ghiacciai perenni e di quelli delle calotte polari ed avanzamento della desertificazione. Gli scenari sono inquietanti. Dal 1993 al 2018 il livello del mare è aumentato, seguendo una linea retta, di 3,2 millimetri all'anno, con un'impennata del gradiente di aumento in questi ultimi 20 anni. Le piogge tenderanno a diminuire nei valori assoluti, aumentando però i fenomeni alluvionali. “La previsione – ha detto Morabito – è che nel 2050 l'effetto dei cambiamenti climatici porterà alla migrazione di quasi 150 milioni di persone, la metà in Africa. Con le conseguenze che è facile immaginare”. Si può ancora fare qualcosa? “Sì, siamo pur sempre ancora – ma non lo saremo per molto – nell'area “Oops”: se già da “ieri” avessimo adottato le misure più drastiche per limitare ad esempio l'utilizzo di fonti fossili e carbone, oltre a tutta un'altra serie di provvedimenti dall'economia circolare alla riqualificazione dei nuclei urbani, nel 2100 avremmo potuto limitare il surriscaldamento del pianeta entro 1,5-2 gradi. Comunque con effetti importanti su alcune aree del mondo. Aree critiche, a livello mondiale, sono il nord America, il Bangladesh, le zone costiere atlantiche dell'Europa, destinate a finire sott'acqua in proporzione all'effettivo surriscaldamento del pianeta. Se continuassimo come abbiamo fatto sinora, senza alcuna misura, le conseguenze sarebbero addirittura apocalittiche, come evidenziato in apertura”. Poco tempo e tanto da fare con l'uomo, responsabile per oltre il 90% dei cambiamenti climatici in atto, che si trova probabilmente di fronte alla più grande sfida di sempre.

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