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Termovalorizzatore a Roma, ecco il piano B. Governo e Vaticano preparano l'alternativa: gas verde da Malagrotta

Claudio Querques
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Governo e Vaticano non si fidano dell'Ama e di Gualtieri. Non sono affatto sicuri che soggetto attuatore e commissario per il Giubileo siano realmente in grado di superare gli ostacoli di ordine tecnico, logistico e politico e a realizzare dunque in tempo utile il termovalorizzatore promesso. Il Parlamento ha conferito al sindaco di Roma i poteri speciali ma la strada verso l'inceneritore è tutt'altro che spianata. Anzi, l'emergenza quotidiana, dopo l'incendio che ha ridotto in cenere il Tmb di Malagrotta, è diventata straordinaria. C'è chi accusa tecnici e dirigenti della municipalizzata romana di non fare abbastanza, di versare in uno stato letargico. Per dirne una: non si sa ancora se l'area di Santa Palomba, alla periferia Sud della Capitale, sia abbastanza grande, idonea ad ospitare il mega -impianto in grado di trattare 600 mila tonnellate l'anno. In compenso, si sa con certezza, tramite i loro referenti, che i proprietari dei terreni non sono stati finora contattati dal Campidoglio. La preoccupazione Oltrecortina e a Palazzo Chigi è grande. Le rotte del turismo si sono riaperte, sono tornati anche i turisti americani tenuti lontano dal Covid ma quei cassonetti che vomitano immondizia sono una pessima réclame per loro e per i pellegrini che arriveranno. Ecco allora che ha preso corpo il piano B.

 

 

A farsi avanti per chiudere il ciclo dei rifiuti è stato il gruppo Maire Tecnimont con il suo presidente e azionista di riferimento Fabrizio D'Amato. Un gruppo che ha già presentato progetti attraverso la controllata NextChem in altre 9 regioni italiane e che utilizza tecnologia green, un processo che non prevede combustione e abbatte le emissioni di anidride carbonica in atmosfera del 90% . «A Malagrotta noi vediamo il petrolio del Terzo millennio, per altri evidentemente è un problema», è uscito allo scoperto D'Amato, qualche giorno fa, rivelando che Tecnimont vorrebbe realizzare nel sito di Malagrotta un gassificato re «verde», in grado di ricavare dai rifiuti idrogeno da utilizzare per la mobilità e altri prodotti. «Si parla di 90/100 milioni di tonnellate di rifiuti, un terzo dei quali assimilabili a petrolio, come dire che a Malagrotta ci sono 30 milioni di tonnellate di petrolio senza necessità di perforare il sottosuolo», ha aggiunto D'Amato. Come non ingolosirsi? Tanto più che il progetto, al contrario del termovalorizzatore, non è incompatibile con il Pnnr. Una volta autorizzato dal ministero di Cingolani rientrerebbe a pieno titolo nella missione della transizione ecologica. Stiamo parlando di un gruppo che fa 2,86 miliardi di euro di fatturato e 80,5 milioni di utile netto, e di una tecnologia già validata. E della sua controllata NextChem che ha già stretto intese con Eni per la produzione di idrogeno circolare a Porto Marghera, metanolo circolare a Livorno e gas circolare a Taranto. Se a questo aggiungiamo che la strada dell'innovazione è anche quella indicata di recente da Draghi, ecco un altro tassello che si aggiunge.

 

 

Se è per questo il presidente del Consiglio all'ultima riunione del G7 è andato anche oltre. «È abbastanza chiaro - ha detto Draghi - che nella situazione attuale avremo bisogni a breve termine che richiedono grandi investimenti nelle infrastrutture del gas ma dobbiamo assicurarci che queste infrastrutture possano essere convertite per trasportare l'idrogeno». Un espresso riferimento, quindi, al «futuro swich verso l'H2». Il terzo tassello che dà più concretezza a questo scenario di tipo B viene dalla politica. Una delle tre condizioni poste da leader del M5S Giuseppe Conte per restare nel governo è infatti trovare una «soluzione condivisa» per il termovalorizzatore. A che cosa si riferisce «Giuseppi»? Che cosa ha in mente, che non sia il solito refrain inconcludente della raccolta porta a porta con annesso miraggio della crescita esponenziale e miracolosa della differenziata? Tre tasselli, insomma. Tre indizi. Per Agatha Christie fanno una prova.

 

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