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Allarme nel Lazio: mancano settemila infermieri

Luca De Lellis
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Il presidente dell’Opi (Ordine delle professioni infermieristiche) di Roma ha lanciato l’allarme. La denuncia riguarda un’importante carenza nel numero di infermieri all’interno delle strutture sanitarie della regione Lazio. “Al momento – ha dichiarato Maurizio Zega – ne mancano 7mila. Una cifra che non potrà aumentare nei prossimi 4 anni quando, a causa dei pensionamenti, il fabbisogno crescerà fino a 11mila”.

 

Qual è il vero fattore scatenante di una tale disorganizzazione? Perché così poche persone in corsia, nonostante l’emergenza Covid-19 ci abbia insegnato l’imprescindibilità di risorse umane all’interno degli ospedali? Il vero disastro, in base alle parole di Zega, è stato compiuto da diverso tempo: “Nel 1999 l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità, ndr) fissò obiettivi riguardanti ospedali flessibili e di prossimità. Ma da allora non è mai stato fatto nulla. Ora invece lo schiaffo della pandemia ci ha fatto comprendere la loro importanza”.

Secondo quanto fissato dal Pnrr, entro la scadenza prevista nel 2026 “dovrà esserci un infermiere di famiglia e comunità ogni tremila abitanti”. E questo, ha evidenziato il numero uno dell’Ordine al Corriere della Sera, porterà alla necessità di “altre 2mila figure professionali”. Altrimenti “le strutture previste saranno vuote e prive delle indispensabili risorse umane”.

 

Ora che la situazione pandemica sembra essere meno grave rispetto ai due anni appena trascorsi, bisogna investire sul personale e le attrezzature ospedaliere per evitare altre emergenze analoghe. Inoltre, ha affermato Zega, “bisogna pensare che la popolazione invecchia e che nei prossimi anni lo farà ancor di più. Quindi gli ospedali diventeranno sempre più il loro punto di riferimento se non cambierà il paradigma e se non si punterà tutto su una sanità territoriale”.

Un altro punto perennemente critico nel sistema sanitario nazionale, in particolare in certe regioni, è il sovraffollamento del pronto soccorso. Ad opinione del presidente dell’Opi di Roma uno dei problemi principali è che “la maggior parte dei pazienti in attesa non dovrebbe essere nei dipartimenti di emergenza, perché non ne ha bisogno e potrebbe tranquillamente essere seguita a casa. Ma è altrettanto vero che se il loro medico di famiglia non c’è il pronto soccorso diventa l’unica risposta possibile”. Essendo il reparto più stressato il numero di infermieri non è tanto insufficiente come in altri settori, “ma, anche qui, i doppi turni sono una costante all’ordine del giorno” ha chiosato Zega.

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