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Roma, pusher e vedette condannati a 150 anni di galera

Augusto Parboni
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Spacciatori e vedette si alternavano in strada tutto il giorno, con rigide turnazioni in attesa dei numerosi acquirenti. E i «collaboratori» avevano invece il compito di rifornire, controllare pusher e vedette facendo da anello di congiunzione con i vertici del gruppo criminale. Gli imputati ieri hanno ascoltato la sentenza nell’aula bunker di Rebibbia: 152 anni e 3 mesi di condanna per l’organizzazione che per anni avrebbe gestisto lo spaccio di droga a Tor Bella Monaca. I magistrati, al termine della requisitoria, avevano chiesto alla Corte pene per complessivi 450 anni di galera. Alla fine sono stati «scontati» 300 anni di carcere, ma l’impianto accusatorio nei confronti della banda di spacciatori ha comunque portato a molte condanne.

L’inchiesta era partita in seguito alle dichiarazioni di due pentiti che, stanchi della vita in stile Gomorra, avevano deciso di raccontare ai carabinieri cosa accadeva giorno e notte per le vie e piazze di Tor Bella Monaca. Lo spaccio, secondo le indagini dei militari, era condotto a conduzione familiare da una famiglia vicina al clan Cordaro: all’epoca del blitz furono 51 le persone arrestate.

 

 

 

 

Per 38 di loro, imputati nel processo con rito abbreviato, i pm avevano infatti chiesto più di 450 anni di carcere. Le indagini, svolte dai carabinieri del nucleo investigativo di Frascati e coordinate dai procuratori aggiunti della Dda Ilaria Calò e Michele Prestipino e dal pm Simona Marazza, avevano portato a eseguire 44 misure cautelari in carcere e 7 ai domiciliari. Le accuse contestate, a seconda delle posizioni processuali, andavano dall'associazione armata finalizzata al narcotraffico, sequestro di persona aggravato dal metodo mafioso, all'attribuzione fittizia di valori. Per i capi del gruppo erano stati chiesti 20 anni di reclusione, pene che sono sate decisamente abbassate dalla Corte.

Durante l’indagine i militari avevano ricostruito i ruoli dei diversi sodali all'interno dell'organizzazione, con a capo tre fratelli che gestivano l'attività della piazza di spaccio che si trovava in via dell'Archeologia. Una piazza di spaccio che «lavorava» 24 ore su 24. La droga, cocaina, ma anche eroina e hashish, veniva nascosta nei serbatoi dei veicoli in sosta, nelle cantine occupate abusivamente con inferriate oppure sotto alle piante delle aiuole. Secondo gli accertamenti degli investigatori, il giro d'affari era di circa 15-20mila al giorno, per 600.000 mensili. Chi sbagliava a rispettare le direttive dell’organizzazione subiva punizioni violente. In base a quanto ricostruito dalle indagini, si è arrivati a registrare veri e propri sequestri di persona ai danni di associati «infedeli» e di loro familiari per essere pestati.
«Attendiamo che il giudice depositi le motivazioni. Non stiamo parlando di narcos, ma di ragazzi, spesso senza solidi riferimenti familiari, abbandonati al loro destino in quartieri abbandonati dallo Stato», ha commentato uno degli avvocati degli imputati, Alessandro Marcucci.

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