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Profughi ucraini segregati in un capannone, a Pomezia la fabbrica degli schiavi

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Segregati in un capannone a fabbricare e confezionare sigarette di contrabbando per 18 fino a 20 ore al giorno e a respirare i fumi malsani della lavorazione, che non potevano essere visti all'esterno. Così sono stati costretti a vivere e a dormire per settimane, senza poter mai mettere il naso all'aria aperta, quattro profughi ucraini, cinque moldavi e un russo, finché i finanzieri della Compagnia di Pomezia si sono accorti che, in quel capannone apparentemente inattivo, si nascondeva qualcosa di sinistro.

Nei giorni scorsi i militari hanno aperto le porte del magazzino, uno dei tanti nella zona industriale di via Valle Caia, liberando nel vero senso della parola gli operai che erano chiusi dentro, privati dei telefoni e dei portafogli, peraltro mai pagati per il loro lavoro. Nel blitz sono state sequestrate oltre 82 tonnellate di tabacchi lavorati e confezioni di sigarette contraffatte e di contrabbando, riproducenti i più noti marchi in commercio. Si tratta del più ingente quantitativo di prodotti di contrabbando sequestrato in Italia negli ultimi anni.

 

 

 

 

I finanzieri hanno stimato che, sul mercato, la merce sequestrata avrebbe generato un’evasione d’imposta di oltre 19 milioni di euro. In manette è finito il rappresentante legale di una società di logistica che, formalmente, svolgeva l'attività nel capannone di Pomezia in cui invece avveniva tutt’altro. L’arrestato, un 50enne campano incensurato, è stato portato in carcere a Velletri per i reati di contrabbando, contraffazione, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. È stata proprio l'apparente inattività del magazzino, messa a confronto con le telecamere di sorveglianza montate all'esterno e con i condizionatori nuovi di zecca, a insospettire le Fiamme gialle. Svolgendo alcune verifiche sulla ditta, hanno scoperto che il volume di affari legato alla logistica era molto scarso. Per questo hanno deciso di vederci chiaro. Quando si sono presentati a bussare alla porta del capannone, che aveva persino le finestre murate, i militari hanno capito che le persone all'interno non avevano la possibilità di aprire.

Una volta entrati nella fabbrica clandestina i finanzieri hanno trovato dieci uomini dell’Est tra i 20 e i 50 anni, tra i quali quattro cittadini ucraini scappati dal loro Paese dopo l’inizio della guerra con la Russia. Agli uomini in divisa hanno spiegato di essersi ritrovati rinchiusi in quel capannone dopo aver risposto a un annuncio online in cui un’azienda di logistica diceva di cercare operai. Pronti a mettersi all’opera, si erano fatti venire a prendere a Roma per essere accompagnati sul posto di lavoro. Ma da allora non sono più potuti uscire, come del resto i loro compagni di sventura di nazionalità moldava e russa. Da chiarire la provenienza del grosso quantitativo di tabacco utilizzato per la produzione di «bionde». Dalle scritte riportate sui pacchetti sequestrati, tutte in inglese e con la dicitura duty free, si deduce che la vendita sarebbe dovuta avvenire fuori dall'Italia. Diversi marchi riprodotti, in effetti, non sono commercializzati nel nostro Paese. Le indagini proseguono anche per scoprire se esistano o meno situazioni simili in zona, con lo sfruttamento in attività clandestine di profughi e persone vulnerabili.
 

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