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Virginia Raggi denuncia Zingaretti, i cinghiali finiscono in Procura

Susanna Novelli
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Il cinghiale finisce in tribunale. È questa l’ultima perla del sindaco uscente, Virginia Raggi, che ieri ha presentato un esposto in procura. Contro i cinghiali? No, contro la Regione Lazio guidata da Nicola Zingaretti. «La presenza massiccia e incontrollata di cinghiali in città - spiega la Raggi - è conseguenza della mancata previsione e/o attuazione da parte della Regione Lazio di efficaci piani di gestione.

 

Secondo l’articolo 19 della legge nazionale 157/92 sono le Regioni a dover provvedere al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia». Inoltre «La Regione Lazio sarebbe inadempiente al Protocollo d’Intesa sottoscritto con la Città Metropolitiana di Roma Capitale e Roma Capitale, che prevede che sia appunto la Regione a dover predisporre piani di gestione nelle aree ricadenti nel territorio di Roma Capitale e a dover individuare strutture regionali in grado di ricevere gli animali vivi, catturati nell’ambito delle attività di controllo numerico». 

 

Il piatto insomma è servito. Si tratta tuttavia di una seconda portata, che arriva guarda caso qualche giorno dopo il via libera della Regione proprio alla caccia al cinghiale «in braccata e in girata, per raggiungere e mantenere sul territorio una presenza della specie compatibile con le esigenze di salvaguardia delle colture agricole e della sicurezza pubblica nel Lazio». 

 

Un «fuori tempo» della Raggi insomma che in cinque anni a disposizione ha deciso di affondare con un esposto un problema non solo irrisolto ma aggravato da una situazione rifiuti che nella Capitale non ha precedenti. E saranno state forse le parole lapidarie dello stesso Zingaretti, sempre pochi giorni fa, a far innervosire Virginia, ormai tutta concentrata nella corsa per il bis in Campidoglio. «L’Ama è una società praticamente fallita che ha cambiato otto amministratori in cinque anni e il comune ha cambiato quattro assessori in cinque anni , è una vergogna perché non c’è programmazione e non riescono a raccogliere l’immondizia per le strade e ci sono sorci e cinghiali. Una vergogna che deve finire», aveva tuonato Zingaretti che, anche lui, in odor di campagna elettorale si affacciava in un giardinetto riqualificato a San Basilio.

E già perché tutto, oramai ha un sapore squisitamente elettorale. E siccome a pensar male poco si sbaglia, la notizia dell’esposto alla procura di Roma «causa cinghiali» viene diffusa, guarda caso, il mattino dopo la cena elettorale pro Virginia di Ostia. Quella di cui se ne parla da giorni per la «sorpresona» di fuochi d’artificio, costati 27mila euro, che tanto hanno animato le argomentazioni politiche di questo scorcio di fine estate. Alla fine, viste le continue gaffe, i fuochi d’artificio non sono stati fatti. Perché? «C’era mare grosso», la scusa rifilata indirettamente. Fenomeno meteorologico tra l’altro smentito. 

Cinghiali e fuochi d’artificio. Davvero sarà questo il tenore di una campagna elettorale da vivere in una Capitale devastata dai rifiuti, dalle buche, dai negozi chiusi, dai cimiteri ridotti a depositi, dagli autobus che prendono fuoco? Forse i romani meritano qualcosa in più. 
 

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