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Il decreto ristoro non basta, i dati drammatici di Confartigianato: "Contributi solo per le bollette"

Damiana Verucci
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Decreto ristoro? “Buono per pagare qualche bolletta in pendenza...”. Lo liquidano così da Confartigianato Roma il tanto decantato da parte del Governo, Decreto Ristoro, quei soldi che dovrebbero arrivare direttamente sui conti correnti bancari di chi sta vivendo, di fatto, un altro lockdown, vale a dire i titolari degli esercizi di somministrazione chiusi alle 18 e quindi impossibilitati a fare aperitivi e cene che per la maggior parte di loro significa tra il 60 e il 70 per cento del fatturato, in una città come Roma dove la gente si siede a tavola tardi.

L'ufficio studi dell'Associazione di categoria degli artigiani ha voluto evidenziare la pochezza di contributi una tantum che di ristoro, appunto, hanno decisamente poco. Ma andiamo con ordine. Il contributo per le attività colpite dal nuovo Dpcm (quindi anche cinema, teatri, palestre...) vale circa 2 miliardi dei quasi 7 complessivi del decreto.

L’importo viene calcolato applicando un coefficiente (diversificato a seconda del codice Ateco dell’attività e variabile da un minimo del 100% a un massimo del 400%) all’importo determinato calcolando la differenza tra quanto fatturato ad aprile 2019 e quanto ad aprile 2020. Senza entrare troppo nei tecnicismi basti pensare che, da calcoli di Confartigianato, considerati gli operatori nella fascia più bassa di ricavi, vale a dire fino a 400 mila euro, gli aiuti medi sono quasi 3.000 euro per i bar, poco più di 5000 euro per i ristoranti e i cinema e 4.000 euro per le palestre. In base ai dati 2019 in possesso dell'Associazione, quasi il 90% delle gelaterie e pasticcerie ha ricavi inferiori a 400.000 euro annui, significa che il volume d’affari mensile di queste realtà raggiunge in media 9.000 euro. D

unque i ristori arriverebbero a coprire appena il 30% delle entrate di una mensilità. Un esempio ancora più concreto di quanto sta accadendo? Lo spiega Andrea Rotondo, presidente Confartigianato Roma: “Prendiamo un ristorante della Garbatella. Il nostro imprenditore, da maggio ad ottobre, lavorando duramente dopo aver rivisto i processi di lavoro e migliorando la qualità dell’offerta, è riuscito ad aumentare il fatturato di 179.739 euro, e a ridurre sensibilmente le perdite. Anche i costi però (adeguamento alle nuove norme e innovazione su prodotti e processi per restare nel mercato) sono aumentati di 120.403 euro”.

Questo ristorante ha potuto usufruire del credito d'affitto, si dirà. “Ma se l'esercente non ha liquidità per pagarlo l'affitto come può beneficiare di quella misura?”, domanda Rotondo. Che incalza “le imprese che dimostrino di aver subito realmente un danno, anche attraverso un'autocertificazione, dovrebbero essere risarcite di almeno 1/3 del fatturato, sia direttamente che indirettamente. Bisognerebbe poi estendere gli interventi di ristoro ai settori dell’artigianato e della micro impresa (fino a 9 addetti) appartenenti alla filiera di quelli le cui attività sono state oggetto di sospensione o di restrizione dal decreto, come le aziende che si occupano di fornitura di pasti preparati (catering per eventi). 

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