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Sciopero bianco a Termini. Metropolitana in ginocchio

Metropolitana nel Caos

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Vecchia politica, nuove esigenze. Un binomio che se non gestito adeguatamente può essere esplosivo. Tutto si riassume in quanto accaduto, incredibilmente, ieri mattina nel giro di un paio d'ore alla stazione Termini. Uno sciopero bianco dei macchinisti ha portato ad un rallentamento tale dei treni della metropolitana da causare il sovraffollamento prima e la chiusura dopo, per motivi di sicurezza, della fermata centrale. Un atto gravissimo, quello dei sindacati che hanno giustificato l'accaduto con «l'applicazione alla lettera del regolamento per la manutenzione», compiuto nel giorno dell'incontro con i vertici aziendali e che, ancora una volta, ha visto sempre e solo una vittima: l'utente. Decine di migliaia le persone che sono rimaste a piedi o che hanno fatto tardi a lavoro per una protesta squisitamente politica. Di vecchia politica. Al di là delle ragioni dei macchinisti e degli autisti dell'azienda capitolina, chiamati a sacrificarsi ulteriormente in barba a stipendi a sei zero di manager più o meno "utili", siamo sicuri che questo tipo di protesta possa pagare? Nel pomeriggio, dopo cinque ore di riunione i sindacati Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti ed Ugl trasporti, il dg dell'Atac Antonio Cassano e il direttore delle relazioni sindacali Riccardo Di Luzio, hanno trovato un accordo. «L'azienda si è impegnata a ritirare il provvedimento sulla disdetta della contrattazione di secondo livello - riferisce in una nota il segretario generale della Filt-Cgil Roma e Lazio, Alessandro Capitani - gli stipendi dei lavoratori non verranno toccati, sono salvi». L'Azienda tuttavia ha sempre smentito che nella ormai nota lettera di disdetta dei contratti di secondo livello venissero toccati gli stipendi di operatori, macchinisti e autisti. I tagli effettuati al momento riguardano le indennità dei dirigenti (non tutti). Il tavolo di trattativa resta comunque aperto perché, come tutti sanno, gli effetti dei tagli al trasporto pubblico saranno ancora più devastanti a partire dall'anno prossimo, quando la questione potrebbe non essere più quella di incrementare le ore di lavoro a costo zero o di tagliare indennità, ma ritoccare l'intero assetto aziendale. A tal fine il confronto con i sindacati si è allargato al piano industriale 2011-2015. «Per favorire la ripresa delle trattative in un clima disteso, l'azienda ha ritirato le lettere di disdetta degli accordi sindacali di secondo livello inviate nei giorni scorsi - conferma una nota dell'Atac - le parti hanno ribadito la comune intenzione di chiudere in tempi brevi il negoziato con la volontà di identificare una soluzione condivisa sugli interventi di razionalizzazione ed efficientamento. A tal fine è stato costituito un tavolo di lavoro che comincerà il 14 novembre su trasparenza, quadri e agibilità sindacali, e che dovrà chiudersi improrogabilmente entro il 25 novembre per raggiungere gli attesi obiettivi strutturali, congiunturali e misurabili di riorganizzazione ed equilibrio di bilancio». La soluzione, insomma, non è più tanto o solo economica, considerando che le risorse disponibili saranno sempre meno, ma squisitamente politica. Va bene quindi chiedere sacrifici anche a macchinisti e autisti pur di garantire uno stipendio a fine mese ma occorre partire dall'alto. Ad esempio dagli otto manager assunti recentemente dall'ex ad Basile, o ancora dal direttore generale di Atac, Antonio Cassano, dal 2000 in azienda e che percepisce 240mila euro di stipendio, oltre a benefit per affitto, macchina con autista, carta di credito e una lettera di assunzione che «blinda» il suo stipendio per tre anni. Proprio Cassano dovrebbe e potrebbe spiegare molti aspetti sullo stato delle casse Atac che non tornano, come ad esempio, i motivi dei decreti ingiuntivi emessi da Cotral per recuperare i crediti della bigliettazione. Decreti ingiuntivi che deriverebbero proprio da una causa intentata dallo stesso Cassano. Vicende interne, certamente, ma delle quali, in un momento anche politicamente delicato, si comincia a chiedere conto. Una guerra politica ancor prima che economica ma che rischia sempre e solo di finire come lo sciopero bianco di ieri mattina e cioè che a rimetterci siano gli utenti, che si ritroveranno probabilmente con un biglietto autobus più caro (da 1 a 1,50 euro) e un servizio, bene che vada, invariato.

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