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"Ho visto le foto. Busco non mente"

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Raniero Busco, condannato per l'omicidio di Simonetta Cesaroni a via Poma nel 1990, con la moglie

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Hanno detto che è un bugiardo. Che ha mentito sull'alibi, che ha cercato di depistare le indagini. Hanno sostenuto che aveva dichiarato il falso quando in aula riferì che la notte del delitto lo schiaffeggiarono e gli misero sotto gli occhi le foto del cadavere di Simonetta: non potevano essere già state sviluppate quelle atroci immagini del corpo martoriato, crivellato da trenta coltellate. Dalla scoperta del delitto erano passate solo poche ore. Quindi, quella di Busco era una menzogna. Una delle tante che aveva messo in circolazione per garantirsi l'impunità, per non pagare le sue colpe. Ma c'è un testimone che giura di aver visto quegli scatti raccapriccianti alle tre del mattino dell'8 agosto, quindi tre ore e mezzo prima che Raniero venisse interrogato. È il padre di Donatella Villani, la migliore amica della vittima, quella a cui Simona indirizzò una delle lettere messe agli atti del processo. «Erano all'incirca le due e mezzo del mattino, squillò il telefono e una voce maschile dall'altra parte della cornetta disse: "Sono il dirigente della Squadra Mobile Nicola Cavaliere. Ho bisogno di parlare con sua figlia. Me la può portare in Questura?" - racconta Giovanni Villani, 69 anni, un negozio di frutta a Morena - Cavaliere non mi disse che cosa era successo. Verso le 3 e 20 arrivammo a San Vitale. Donatella entrò nell'ufficio di Cavaliere e io andai nella sala d'attesa. Qui vidi Raniero Busco seduto, la testa poggiata sulle braccia, che piangeva a dirotto. "Che è successo?", gli chiesi.  "Hanno ammazzato Simonetta", replicò lui. Aveva gli occhi gonfi di lacrime. Per quello che ho potuto osservare, non aveva graffi, ferite e nemmeno cerotti sulla mani e sulle braccia». Villani, che nel suo quartiere tutti chiamano Giovannone per la stazza non certo efebica, a questo punto esce dalla stanza, lasciando Busco a singhiozzare in solitudine, bussa alla porta di Cavaliere ed entra. «Anche mia figlia stava piangendo. Aveva saputo. Io ero in piedi e, sul tavolo del dirigente vidi una quindicina di foto del corpo di Simonetta. Ricordo che c'erano un sacco di buchi, di ferite, e poco sangue. Donatella non poteva scorgerle da seduta perché Cavaliere sul tavolo aveva alcune cartelle e forse la borsetta della vittima, se ricordo bene». Ma perché il signor Villani queste cose non le ha dette prima, perché non si è presentato in aula in questi ultimi undici mesi? «Ho seguito il processo in tv e non ho mai saputo del particolare delle foto - spiega lui - Quando mi hanno detto che in televisione si era messa in dubbio l'amicizia di mia figlia per Simonetta mi sono arrabbiato, mi è tornata in mente quella notte e oggi ho deciso di parlare». Sì, perché Giovannone ha visto crescere tutti e due, Raniero e Simona. «Era una comitiva di ragazzi acqua e sapone e Simonetta veniva spesso a mangiare da noi - riferisce - Spesso si toglieva le scarpe, era un suo vizio. Quando si metteva seduta, se le toglieva. Comunque le due ragazze erano amiche per la pelle. E nessuno può insinuare il contrario. Ancora oggi Donatella, che ormai ha 41 anni e due figli, piange ogni volta che si accenna alla sua amica uccisa e spesso va a pregare sulla sua tomba a Genzano. E lei capisce che sentir dire che ha tradito l'amicizia di Simonetta mi fa imbufalire. Solo un depravato - conclude Villani - può aver fatto una cosa del genere. E Busco non è un depravato. Io posso gridare al mondo che Raniero è innocente. Ma mi piange il cuore perché l'assassino di quella poveretta resterà impunito».

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