
Regionali, Schlein isolata nel Pd: non ha suoi candidati. E in Campania va in tilt

Gli incassi sono magri, roba da portare i libri contabili in tribunale. Un trend consolidato, che sembra non registrare scosse al rialzo nemmeno alle prossime elezioni regionali. In pratica, il bilancio di Elly Schlein, o meglio della sua maggioranza, fa acqua da tutte le parti. Nessun candidato in vista, il Pd riesce a fare cassa solo quando adotta il "franchising" dei riformisti, più portati a rastrellare consensi e preferenze. La musica non cambia in vista delle prossime scadenze: Campania, Veneto, Toscana, Marche, Puglia e Valle d’Aosta. Un problema per il Nazareno, la classe dirigente interna balzata agli onori della cronaca con l’arrivo dell’imprevista, stenta a emergere. Insomma, solo "chiacchiere e distintivo". La Campania sarà il banco di prova di questa tendenza: superata la stagione di Vincenzo De Luca grazie alla Consulta, Elly ha ben pensato di apparecchiare la Regione per il "Pietro Ingrao" del M5S, l’ex Presidente della Camera Roberto Fico. E si troverà ad affrontare la guerra di logoramento intentata dal quasi ex Governatore a mani vuote: ovvero senza i tradizionali raccoglitori di preferenze dem. Il Jep Gambardella del Vesuvio sembra propenso a percorrere la strada peggiore per il Pd: resta al tavolo del centrosinistra, per contendere al suo praticamente ex partito capisaldi, lista e persino candidato. Ieri lo Sceriffo ha riunito i capigruppo e se n’è uscito con un programma di guerra: «No ai giochi della politica politicante romana, ma occorre una proposta condivisa da tutta la coalizione che abbia al primo punto le reali esigenze della Campania». Tradotto: pretende assessorati e candidati in continuità, e per la sua successione molto meglio il pentastellato Sergio Costa che lo scialbo ex Presidente della Camera. Brutte notizie per i "ragazzi" di Elly: si prefigurano altri anni in sala d’attesa. E «toglietevi dalla testa la discontinuità».
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Marche e Puglia, invece, saranno gestite in "housing" da due "cavalli" di razza che hanno una storia precedente all’arrivo di Elly, quello che enfaticamente la segretaria definisce il "nuovo" Pd. Antonio Decaro è stato il recordman delle preferenze alle europee di giugno, già sindaco di Bari, esploso nella stagione di Matteo Renzi. Un percorso simile a Matteo Ricci, anche lui europarlamentare, primo cittadino di Pesaro, portato a Bruxelles dall’autobus allestito per l’occasione da Goffredo Bettini. Anche il marchigiano ha avviato le sue fortune con l’ex Presidente del Consiglio, che lo scelse come volto televisivo del Pd. Poi, con gli anni, esattamente come il collega pugliese, ha imparato a rimanere a pelo dell’acqua con tutti i successivi segretari dem. Ovvero: non sabotare e scaricare le tensioni nelle correnti, che sono gli ascensori ‘sociali’ del partito. Inutile aggiungere che in Campania, Puglia e Marche gli esponenti della maggioranza dem sono al massimo poco più di comprimari.
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Discorso a parte merita la Toscana, che fu la Regione da cui partì la scalata dell’ex rottamatore. Appaltata, dopo la sua scissione, all’ex braccio destro Luca Lotti, che nella scorsa legislatura organizzò la corrente più forte del Pd, Base Riformista, in pratica gli ex renziani. Che ancora oggi dettano legge, capitanati dall’attuale Presidente della Regione, Eugenio Giani. I fedelissimi di Elly (dopo aver rinunciato ad esprimere i sindaci di Firenze, Prato e Livorno) anche in questo caso rischiano di finire a "zero tituli". Eclatante, poi, la situazione tra gli eurodeputati dem. A giugno il Pd ha ottenuto una lusinghiera percentuale (24%) grazie soprattutto alla candidatura dei riformisti. La segretaria pensava di toglierseli di torno con il ‘confino’ a Bruxelles, ma l’operazione non è andata molto bene. Tra i ventuno eurodeputati eletti, è persino finita in minoranza (come è successo nella recente plenaria sul riarmo e più volte sull’Ucraina). In più, proprio all’Europarlamento, è nata l’anti-Elly per eccellenza: Pina Picierno, incoronata leader del momento anche da Repubblica. Lei voleva renderli più ininfluenti, ma alla fine si trova alle prese con una mezza voragine interna. I suoi delfini, sia a Roma che in Europa, hanno difficoltà a farsi notare; in Parlamento non è nata una nuova stella a suo fianco, tra Strasburgo e Bruxelles i suoi finiscono frequentemente tra i titoli di coda. Il Nazareno conserva un legame sentimentale con il rosso, ma rischia che sia solo quello del passivo. Insomma il "triste solitario y final" di Elly.
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