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Pd, rivolta sul codice etico. Il primo effetto? Vietato candidare Ilaria Salis...

Edoardo Romagnoli
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Dopo tanto discutere la suggestione che voleva Ilaria Salis candidata per il Partito Democratico alle Elezioni europee è definitivamente tramontata. A estrometterla dalle liste però non è stata l’ala cattolica del partito, pronta a un’operazione interna, non è stato nessun cacicchio, ma il codice etico.
Non c’è stato bisogno neanche del nuovo testo integrato e aggiornato da Antonio Misiani, bastava quello del 2008. Infatti il codice etico prevede che ogni candidato presenti, prima di essere messo in lista, i certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti. La maestra di Milano, ora in carcere a Budapest, con le sue quattro condanne passate in giudicato non avrebbe potuto impegnarsi in prima persona in una competizione elettorale. Fra le condanne si legge: resistenza a pubblico ufficiale durante lo sgombero di attivisti anarchici da un centro sociale di Milano e durante lo sgombero di uno stabile a Saronno, invasione di edifici, ma è riportata anche una condanna per accensione ed esplosioni pericolose per aver lanciato dei fumogeni e dei petardi all’interno del perimetro del carcere di Milano.

 

Insomma sarebbe stata una impresentabile. E proprio sugli impresentabili Misiani è tornato sul codice etico, presentato due giorni fain Campania, spiegando come «non abbiamo scritto un nuovo codice etico: il Pd lo ha sin dalla sua fondazione nel 2008, quello che abbiamo approvato è un regolamento per il controllo preventivo della trasparenza delle candidature».

Regolamento o codice etico che sia la questione prevede l’adozione di una serie di procedure per garantire la massima trasparenza nel processo di selezione delle candidature nelle liste Pd. «Con particolare riferimento - ha scritto Misiani sui social - alla verifica preventiva dell’eventuale sussistenza di condizioni ostative alla candidatura e di condizioni di incandidabilità».

Quindi era chiaro fin da subito che la candidatura non sarebbe stata possibile. E ripercorrendo dall’inizio la vicenda non si può fare a meno di notare come sia stata gestita malissimo. La suggestione nasce verso fine marzo con Schlein che convoca i fedelissimi per sondare la candidatura di Salis. Quando l’indiscrezione viene pubblicata sui giornali il primo a tuonare è proprio il padre della maestra milanese che si lamenta di non essere stato informato. Non solo. Per Roberto l’idea della candidatura era stata gestita male perché «aveva lasciato Ilaria in mano alle correnti Dem».

Poi l’incontro chiarificatore al Nazareno in cui Roberto aveva posto come condizione un posto sicuro per la figlia per evitare che una mancata candidatura potesse danneggiarla. Apriti cielo. Dal partito a Schlein arriva un messaggio chiaro: «Se candidi la Salis ti facciamo fuori dal partito». E così Schlein va da Vespa per annunciare la retromarcia: «Nessuna candidatura per Ilaria». Omettendo di dire che in qualunque caso, per il codice etico del partito, non avrebbe comunque potuta essere candidata. Le ipotesi sono due: o Schlein non conosce il regolamento del partito o voleva lanciare un messaggio sulla pelle di una cittadina italiana reclusa all’estero. In tutti e due i casi un bel pasticcio.

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