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Israele-Hamas, fucilata di Paragone all'Ue: la tragedia ha sancito la totale inutilità

Gianluigi Paragone
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Nella tragedia della Storia, la storia dell’Europa è una tragedia. Questa è la cruda realtà la cui ammissione non avverrà mai perché la presunzione dei suoi architetti non può svelare il grande bluff nato in un cantiere ibrido dove la finanza e i mercati si sono mangiati l’addensante politico, cioè il cuore di qualsivoglia progetto istituzionale. Senza la politica non c’è società, non ci sono le cittadine e i cittadini, non c’è visione di cosa ci sia oltre i grafici e gli andamenti borsistici. Dopo decenni di retorica stanno cadendo tutti i pilastri della narrazione: da una moneta protetta dall’inflazione a un mercato del lavoro flessibile sì ma inclusivo, soprattutto per i giovani; dall’abolizione dei confini ad un sentimento europeista che diventa cittadinanza. Fino alla garanzia di pace: l’Europa come garante della pace, dopo il secolo breve segnato dalle guerre mondiali. E invece ci ritroviamo con una guerra a Est che militarmente non andrà da nessuna parte ma dalla quale non sappiamo uscirne e un’altra - devastante - che non sappiamo ancora quale accelerazione potrà prendere. In mezzo la paura che tutto si unisca in un ennesimo dramma globale. Il conflitto in Ucraina parla all’Europa, odora di Europa, entra in Europa, ma l’Europa non sa come uscire, come parlare, come muoversi. Un balbettamento impressionante figlio certamente di una classe dirigente inadeguata, ma anche di un difetto di progettazione della stessa Unione Europea.

 

 

Nella tragedia immane dell’attacco di Hamas a Israele, c’è quel solito fazzoletto di Mediterraneo che ribolle di odi antichi ma che una stretta di mano coraggiosa tra Rabin e Arafat poteva raffreddare. In quel Mediterraneo su cui soffiavano le migliori intenzioni di Oslo, l’Europa avrebbe dovuto dimostrare la sua stoffa politica aggiungendosi al ruolo che allora ebbe Clinton, cioè l’America. Perché o giochi da grande attore globale o questa «Cosa» che ha la presunzione di definirsi Europa non ha senso. Oggi, lo possiamo dire: l’Europa non ha senso. Ma andrà avanti per inerzia, portandoci sempre più fuori dalle camere di compensazione dove la Politica conta eccome, come regolatore di asimmetrie crescenti fomentate dall’ingordigia di una Élite finanziaria che s’atteggia a potenza. L’Europa non sa nulla del suo baricentro, il Mediterraneo; non sa scomporlo nelle sue aree, da quella che si affaccia sul medio oriente all’altra parte africana; non sa nulla dell’equilibrio delle relazioni diplomatiche di cui abbiamo perso ogni trama, salvo lanciare sos quando arrivano troppi migranti.

 

 

Dagli accordi di Oslo a quelli di Abramo sono trascorsi trent’anni: dov’è stata la tanto strombazzata Europa? Non pervenuta. Senza una posizione capace di avere una funzione. L’Italia della Prima Repubblica, da Mattei a Craxi, ha avuto un peso notevole in quelle aree, talmente potente da consentire al primo di trattare con l’Iran e al secondo di giustificare in parlamento il diritto dell’Olp di ingaggiare la sua battaglia armata (senza condividerne il senso politico «perché non porterà ad alcuna soluzione»). Oggi è difficile muoversi in autonomia perché siamo in un contesto europeo; ma l’Europa non fa niente. Se non assorbire come una spugna tutto quel che accade.

 

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