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Via della Seta, Meloni cerca una soluzione per non scontentare Cina e Usa

Luigi Bisignani
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Caro direttore, allo scoccare della mezzanotte del bel party alla Casa Bianca, Giorgia Meloni, da principessa è dovuta tornare Cenerentola, con molti panni internazionali da lavare: Pechino si risente per l’addio ineludibile alla «Via della Seta» preteso da Biden come prova di fedeltà, gli amati spagnoli di Vox che hanno fatto flop e, come se non bastasse, Francia e Germania sono indispettite per non essere state invitate alla conferenza romana sull’immigrazione alla Farnesina. Tuttavia, ora la priorità è capire come stracciare l’accordo con la Cina senza troppi danni collaterali o ritorsioni, con buona pace di Marco Polo. Per questo la Premier vuole andare a parlare con il potente mandarino Xi Jinping, che la vede con grande simpatia, sebbene la mossa potrebbe rivelarsi azzardata e, soprattutto, prematura, visto che ancora Meloni non sa come placare il Dragone. I dispacci dell’intelligence che le vengono depositati sulla scrivania, e che Meloni diligentemente legge con un certo compiacimento, sono sicuramente di aiuto per non restare tra l’incudine e il martello. Quello che la convince di più è un documento nel quale si suggerisce di fare con Washington le classiche nozze con i fichi secchi. L’obiettivo, dichiarato oramai già da tempo nelle segrete stanze, è uscire dalla «Belt and Road Initiative» che lega l’Italia, unico Paese del G7, ad un partenariato infrastrutturale con la Cina. Il piano strategico, voluto da Conte, non ha portato grandi vantaggi ad alcuna delle parti - il caso Pirelli sta lì a dimostrarlo - ma per i cinesi, incastrati in un difficile momento economico e geopolitico, con le tensioni su Taiwan e la mancata condanna dell’invasione russa in Ucraina, questa alleanza oggi risulta fondamentale.

 

 

Il ministro Tajani dovrebbe essere a Pechino il prossimo settembre per «preparare» la visita di Meloni. Il condizionale è d’obbligo, visto che il suo omologo Qin Gang, da settimane sparito misteriosamente dalla circolazione, è stato sostituito da Wang Yi, un alto funzionario forse più allineato al partito. Ciò che trapela da Palazzo Chigi fa supporre che Meloni stia cercando una soluzione per salvare la seta cinese e il jeans yankee, non scontentando Pechino e accontentando Washington. E questa soluzione potrebbe essere il risultato di una linea tattica tripartita. Anzitutto, seguire l’esempio di Macron e Scholz i quali, malgrado non avessero alcun accordo formale con i cinesi, si sono precipitati a Pechino, subito dopo lo scontato rinnovo del Politburo e del suo presidente Xi, con uno stuolo di aziende e miliardi di euro da investire. La seconda linea d’azione potrebbe essere rappresentata dalla grande differenza che esiste tra le bilance commerciali di Italia e Cina, che certamente avrebbe bisogno di una disponibilità da parte mandarina per riequilibrare la situazione. Infine, come terza iniziativa, Meloni potrebbe proporre a Xi di collaborare fattivamente al «piano per l’Africa» che sta contraddistinguendo la stagione politica del centrodestra nei rapporti internazionali e che pare interessi molto anche alla Cina. Tale piano si pone l’obiettivo di consolidare sempre più la presenza nel continente africano, ricco anche di quelle materie prime fondamentali per l’industria delle batterie dei veicoli elettrici.

 

 

E arriviamo così al Niger, dove il 26 luglio è stato rovesciato il presidente Mohamed Bazoum, sul quale il governo italiano contava proprio ai fini del nuovo «piano Mattei». Sarà un caso che i golpisti in Niger abbiano aspettato che il loro presidente venisse alla Conferenza di Roma per destituirlo? Meloni, prontamente, ha offerto a Bazoum i telefoni della stessa Farnesina per organizzare il suo rientro in patria in un nascondiglio di massima sicurezza. A questo punto le relazioni internazionali, per la Premier, si sono sicuramente dimostrate assai diverse dai marshmallows americani, un po’ come succede nel film, campione di incassi «Barbie» in cui la protagonista dal suo mondo perfetto, viene a un certo punto catapultata nella vita reale. Lo stesso Joe Biden, davanti al caminetto dello Studio Ovale, ha letto stancamente un foglietto di appunti alla Meloni tenendole ogni tanto la mano. Ma le elezioni Usa del 2024 potrebbero cambiare gli equilibri, e anche le simpatie di Giorgia. Harvard Caps-Harris Polls dà Donald Trump ormai sicuro per la nomination repubblicana, cinque punti avanti a Biden alle presidenziali. Ma c’è un altro dato inatteso da non sottovalutare: quello dei botteghini al cinema. Sorprendentemente, nonostante il messaggio politically correct che il film «Barbie» intende trasmettere, il pubblico Usa accorso a vederlo è composto più da elettori repubblicani che democratici. Questi ultimi pare abbiano preferito andare a vedere «Oppenheimer», il biopic sul creatore della bomba atomica durante la seconda guerra mondiale, che in Italia uscirà il 23 agosto e che negli Usa si è piazzato al secondo posto degli incassi. Non sono pochi gli osservatori americani che vedono nella vittoria di «Barbie» al box office un indicatore predittivo dell’esito delle prossime elezioni del 2024. Ma anche in questo caso Wonder Giorgia saprà imbroccare la giusta strada. Del resto, è già passata da Trump a Biden e da Ratzinger a Bergoglio. Memento audere semper, soprattutto se serve alla Patria.

 

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