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Delmastro e Santanchè, il ministero della Giustizia bacchetta i magistrati

Dario Martini
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Caso Delmastro e caso Santanchè. Il ministero della Giustizia entra a gamba tesa nella polemica, con la contrapposizione tra toghe e politica che raggiunge livelli che non si vedevano da tempo. Partiamo dalla vicenda che riguarda il sottosegretario alla Giustizia per il caso Cospito. È dell’altro ieri la notizia dell’imputazione coatta di Andrea Delmastro (FdI) disposta dal gip Emanuela Attura, dopo che i pm romani avevano chiesto l’archiviazione in seguito all’esposto del deputato di Verdi e Sinistra Angelo Bonelli. A Delmastro viene contestato di aver rivelato al coinquilino e compagno di partito Giovanni Donzelli il contenuto delle intercettazioni ambientali in carcere tra l’anarchico Cospito e alcuni boss mafiosi al 41 bis. Donzelli, poi, ha rivelato tutto in Aula alla Camera il 31 gennaio scorso.

 

Per la Procura, che ricordiamo aveva proposto l’archiviazione, Delmastro non era consapevole della segretezza di quelle informazioni. Tesi che il gip ha ritenuto non fondata. Adesso, ad intervenire nel merito sono fonti del ministero della Giustizia, secondo cui l’imputazione coatta disposta dal gip del tribunale di Roma nei confronti di Delmastro per il caso Cospito «dimostra, come nei confronti di qualsiasi altro indagato, l’irrazionalità del nostro sistema». Le stesse fonti di via Arenula aggiungono: «Nel processo che ne segue l’accusa non farà altro che insistere nella richiesta di proscioglimento in coerenza con la richiesta di archiviazione. Laddove, al contrario, chiederà una condanna non farà altro che contraddire se stessa. Nel processo accusatorio il pubblico ministero, che nonè né deve essere soggetto al potere esecutivo ed è assolutamente indipendente, è il monopolista dell’azione penale e quindi razionalmente non può essere smentito da un giudice sulla base di elementi cui l’accusatore stesso non crede». E ancora: «La grandissima parte delle imputazioni coatte si conclude con assoluzioni dopo processi lunghi e dolorosi quanto inutili, con grande spreco di risorse umane ed economiche anche per le necessarie attività difensive. Per questo è necessaria una riforma radicale che attui pienamente il sistema accusatorio». Quest’ultimo punto, ovvero la riforma su cui sta lavorando il Guardasigilli Carlo Nordio è il punto saliente della questione. Il governo, in pratica, fa sapere che quanto sta accadendo non si ripeterà più proprio per le nuove norme su cui si sta lavorando. Anche lo stesso Delmastro, con un tweet che riprende le parole di Nicola Porro, scrive: «Imputazione coatta? Quella cosa che avviene una volta ogni milione di capelli nella testa pelata di Kojak».

 

Battute a parte, il ministero della Giustizia interviene anche sul caso Santanchè, soprattutto sul fatto che la notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati da parte della Procura di Milano è arrivata proprio nel giorno in cui la ministra del Turismo riferiva in Aula sulle presunte irregolarità nella gestione delle sue aziende. Tra l’altro l’esponente di governo non ha mai ricevuto alcuni avviso di garanzia nonostante sia indagata dal 5 ottobre scorso e la sua posizione sia stata desecretata tre mesi dopo. Il motivo? Imprecisate questioni burocratiche. Le fonti di via Arenula sottolineano quindi quanto sia «urgente» la riforma dell’iscrizione del registro degli indagati e dell’informazione di garanzia. Le stesse fonti «manifestano, ancora una volta, lo sconcerto e il disagio per l’ennesima comunicazione a mezzo stampa di un atto che dovrebbe rimanere riservato.

La riforma proposta mira ad eliminare questa anomalia tutelando l’onore di ogni cittadino presunto innocente sino a condanna definitiva». Nordio lo ripete da mesi: tutto ciò deve finire. Ese il M5S annuncia battaglia in parlamento contro un «attacco vergognoso alla magistratura» e il Pd, con la segretaria Elly Schlein, ritiene che il governo stia passando il segno, Giandomenico Caiazza, presidente dell’Unione camere penali, sposa la linea del governo: «L’imputazione coatta disposta dal gip contro la volontà del pm è da sempre una delle norme più irrazionali e insensate del nostro codice di procedura penale per ragioni che sono state ben espresse dal Ministero. Ma è una norma che esiste dalla fine degli anni Ottanta. Ce ne accorgiamo solo ora? Meglio tardi che mai». 

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