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Riforma Giustizia, Cassese sta con Nordio e azzera i critici: “Giudici vogliono solo le mani libere…”

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«È una riforma che merita apprezzamento, in qualche punto troppo timida». È questo il commento del giurista e costituzionalista Sabino Cassese sulla riforma della giustizia portata avanti dal ministro Carlo Nordio. In una intervista a QN il professore usa toni diametralmente opposti a quelli critici della sinistra, specialmente sull’abuso di ufficio: «Sopprime un reato indicato in forma poco precisa, stabilisce il rispetto della vita privata delle persone indagate e non indagate, circonda di garanzie la custodia preliminare, perché non diventi una minaccia, cerca di evitare il ‘naming and shaming’, cioè l’uso di additare al pubblico ludibrio, mediante la pubblicazione di informazioni sulla vita privata». Cassese spiega che «l’abuso di ufficio, nonostante l’intervento legislativo del 2020, è rimasto un reato non sufficientemente delineato dalla norma, indicato con eccessiva latitudine, sicché non si sa che cosa sia effettivamente vietato, e quindi sanzionabile. Il sindaco di una piccola città siciliana è stato indagato per abuso di ufficio per aver negato l’uso della biblioteca comunale per una manifestazione canora, preferendo un dibattito sul referendum costituzionale. Se, come è stato stimato, nel 2021 il 99% degli indagati è stato assolto, vuol dire che la figura del reato non è sufficientemente determinata e affermare che questo reato è funzionale alla individuazione di altri reati vuol dire sposare una concezione fantasiosa del diritto penale».

 

 

Un altro passaggio criticato è quello della cosiddetta inappellabilità di talune sentenze di assoluzione di primo grado, «vale per i reati meno gravi, include una percentuale minima di reati» chiarisce il giurista affermando che «questo è uno dei punti nei quali l’iniziativa governativa poteva essere più coraggiosa. Sul merito, può dirsi che, se non emergono fatti nuovi, un accanimento delle procure, dopo un proscioglimento, non fa altro che peggiorare la situazione della giustizia italiana, che dovrebbe preoccuparsi dei più di 4 milioni di procedimenti pendenti». Sulle intercettazioni, secondo Cassese, c’è stato «un passo avanti, ma piccolo. E non viene toccata la sanzione. La critica per cui ne deriverebbe un danno del giornalismo investigativo al quale si vorrebbe mettere il bavaglio, è sbagliata perché le indagini e i processi non si fanno né nelle piazze, né sui giornali. La giustizia si fa nelle aule dei tribunali. Per il futuro, occorre riflettere sull’opportunità di limitare le intercettazioni solo ad alcuni reati, perché il bilanciamento tra violazione della vita privata e giustizia è oggi troppo a danno della prima». 

 

 

Le opposizioni, anche se non tutte, e l’Associazione nazionale magistrati sono contrarie e pronte a dare battaglia: «Le opposizioni farebbero bene a sentire le voci della ragione e del diritto, nonché quelle dei sindaci. Quanto all’Associazione dei magistrati e ai singoli magistrati che sono intervenuti, dovrebbero spiegare quanto i loro interventi sono nell’interesse della giustizia e quanto invece a difesa delle proprie ‘mani libere’». In Italia riformare la giustizia è difficile, secondo il giurista, «perché non c’è più la separazione dei poteri. Il governo è diventato legislatore. Il Parlamento è diventato amministratore. I giudici esercitano funzioni amministrative, occupando gli uffici serventi del Csm e del ministero della Giustizia, e la funzione legislativa con la loro presenza nei gabinetti ministeriali». La riforma è «un buon inizio, purché si continui. I milioni di cause pendenti mostrano che c’è una domanda di giustizia che non viene soddisfatta. Questo si riflette nella rapidamente decrescente fiducia, misurata dai sondaggi, della popolazione nella magistratura. Se l’ordine giudiziario non riesce rapidamente a eliminare l’arretrato, rispondendo con sollecitudine alla domanda di coloro che si sono rivolti ai giudici, l’intero corpo della magistratura finirà per perdere completamente la fiducia che la collettività deve avere nella giustizia. Una giustizia che arriva in ritardo - ammonisce e chiosa Cassese - non è giustizia. E rischia di non esserlo una giustizia che perde la fiducia dei cittadini». 

 

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