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Governo, altra incursione del presidente Anac: “Riforma della Giustizia ci porta fuori dall'Europa”

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«L’abrogazione tout court del reato di abuso di ufficio? Non la condivido». Risponde così in un’intervista a La Stampa Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, che già in passato si era scagliato contro alcune decisioni del governo Meloni. «Non risolve la paura della firma e gli obblighi internazionali» e poi «rende non punibili gli abusi di potere, nonché violazioni sia di leggi sia di obblighi necessari a evitare conflitti di interessi», la spiegazione fornita sulla bocciatura. Busia, che ritiene sia invece «giusto e opportuno definire nel dettaglio il perimetro del reato», suggerisce in vista del dibattito parlamentare sul ddl Nordio, «una legge di interpretazione autentica, per chiarire definitivamente i confini del reato entro la violazione di puntuali norme di legge». Un intervento di questo tipo, a suo avviso, «avrebbe l’effetto di escludere la punibilità del giusto esercizio della discrezionalità». 

 

 

Andando poi a ritroso nel tempo, il presidente dell’Authority, passa in rassegna le quattro riforme degli ultimi trent’anni per dire che in passato «un tentativo avanzato» è stato quello «della riforma del 2020, che ha circoscritto il reato», ma che «successivamente alcune sentenze lo hanno nuovamente esteso, considerando punibile qualsiasi violazione dell’articolo 97 della Costituzione sul buon andamento della pubblica amministrazione. Come se ogni violazione amministrativa costituisca automaticamente un reato». 

 

 

Secondo Busia, la scelta del governo crea invece «un triplice problema di compatibilità dell’ordinamento italiano a livello internazionale» mentre «ci sono due convenzioni internazionali contro la corruzione, sottoscritte in passato dall’Italia e quindi già vincolanti. Una a livello Onu, l’altra del Consiglio d’Europa» ed «entrambe impongono esplicitamente di prevedere una repressione penale - ripeto, penale - di condotte sovrapponibili ai reati di abuso di ufficio e traffico di influenze illecite», spiega il presidente Anac, che sottolinea anche che se il ddl Nordio diventerà legge accadrà che «Onu e Consiglio d’Europa hanno specifici organismi di controllo». Pertanto, «sicuramente l’abuso di ufficio resterebbe scoperto, rischiando di metterci in aperto contrasto» mentre rispetto al traffico di influenze «bisognerà studiare attentamente le conseguenze della ridefinizione, per valutare se si dissocia da quanto previsto dalle convenzioni internazionali».

Per Busia, dunque, «la vera pura della firma» da parte dei pubblici funzionari, «ha due cause: la prima è l’opacità legislativa» e per questo «è giusto che il funzionario pubblico sappia esattamente cosa è lecito e cosa no» mentre la seconda causa riguarda «l’assenza di mezzi e capacità amministrativa», tant’è che «i piccoli enti sono paralizzati da assenza di risorse e competenze». Dunque «i dirigenti non firmano perché devono fare troppe cose, e tante su cui non sono specializzati». Servirebbe invece che sui contratti pubblici si creassero «un centinaio di centrali di committenza, altamente specializzate sui singoli settori, che suppliscano alle amministrazioni che non sono in grado di gestire le procedure» perché «oggi le centrali regionali ci sono, ma non ovunque e non tutte adeguate. È l’unico modo per fare presto, non sprecare soldi, rispettare i tempi del Pnrr, conclude il presidente dell’Anticorruzione.

 

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