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Caso Cospito, Meloni: "Lo Stato non tratta". E Nordio scagiona Donzelli: "Non ha violato segreti"

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"Lo Stato non tratta con la mafia, e lo Stato non tratta neanche con il terrorismo". Giorgia Meloni torna a chiarire la linea del governo parlando del caso legato all'anarchico Alfredo Cospito. La premier, che domani sarà in missione a Stoccolma e Berlino in vista del Consiglio europeo del 9 e 10 febbraio, non parla nella conferenza stampa successiva al Consiglio dei ministri che dà l'ok al ddl sull'autonomia differenziata, ma intervistata nella trasmissione di Rete4 "Dritto e Rovescio".

Nessun accenno alla bufera che ha coinvolto il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro e il vicepresidente del Copasir Giovanni Donzelli, mentre riguardo all'anarchico che da oltre cento giorni sta portando avanti lo sciopero della fame per opporsi al 41 bis ricorda un fatto avvenuto in passato per far capire "che non stiamo parlando esattamente di una vittima per come la vedo io". Meloni racconta quindi che "nel 1991 Cospito era già in carcere, decise di fare lo sciopero della fame e venne graziato. Lo Stato lo ha graziato, lui è uscito ed è andato a sparare a della gente".

Secondo la presidente del Consiglio, quindi, "è possibile che oggi Cospito ritenga che tornare a fare lo sciopero della fame anche in questo caso potrebbe" portarlo a far cambiare la sua situazione di detenzione. Il tutto mentre "anarchici di vario genere in tutta Europa cominciano ad avviare una battaglia contro lo Stato, facendo saltare in aria le auto di personale diplomatico, che lavora per lo Stato. La domanda che faccio è: nel momento in cui lo Stato viene minacciato, deve indietreggiare o no? - chiede Meloni - Se io stabilissi il principio che chiunque fa lo sciopero della fame lo tolgo dal 41 bis, quanti mafiosi farebbero lo sciopero della fame? O se togliessimo il 41 bis perché saltano in aria le macchine, quante macchine salterebbero in aria? Come abbiamo sempre detto, io credo che lo Stato non tratta con la mafia, e lo Stato non tratta neanche con il terrorismo, è abbastanza facile".

Più complessa è invece la situazione legata a Delmastro e Donzelli, con le opposizioni che ne continuano a chiedere le dimissioni dopo quanto avvenuto alla Camera lo scorso 31 gennaio. Proprio riguardo alle parole pronunciate da Donzelli nel dibattito parlamentare è però intervenuto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, spiegando che la comparazione tra le dichiarazioni rilasciate dal deputato di Fdi e "la documentazione in atti disvela che l'affermazione testuale dell'onorevole - dai documenti che sono presenti al Ministero della Giustizia - è da riferirsi ad una scheda di sintesi del Nic non coperta da segreto. Non risultano apposizioni formali di segretezza e neppure ulteriori diverse classificazioni sulla scheda".

Il Guardasigilli, inoltre, aggiunge che il "contenuto dei colloqui tra i detenuti Cospito ed altri, riferiti dall'onorevole Donzelli, non sono stati oggetto di un'attività di intercettazione ma frutto di mera attività di vigilanza amministrativa". "In conclusione, la natura del documento non rileva e disvela contenuti sottoposti al segreto investigativo o rientranti nella disciplina degli atti classificati", afferma Nordio precisando che "la rilevata apposizione della dicitura limitata divulgazione, presente sulla nota di trasmissione della scheda, rappresenta una formulazione che esula dalla materia del segreto di Stato e dalle classifiche di segretezza, disciplinate dalla legge 124/07 e dai Dpcm di attuazione, ed esclude che la trasmissione sia assimilabile ad un atto classificato, trattandosi di una mera prassi amministrativa interna in uso al Dap a partire dall'anno 2019, non disciplinata a livello di normazione primaria". Tutta la documentazione idonea a spiegare queste conclusioni, conclude il ministro, sarà illustrata in dettaglio, "quando le Camere riterranno opportuno".

Domattina intanto a Montecitorio si definirà il giurì d'onore che dovrà esaminare il 'caso' Donzelli. Sarà compito del presidente Lorenzo Fontana nominare la Commissione che dovrebbe prevedere un format a 3 o a 5 componenti. La prassi vuole che la presidenza non vada né alla parte 'offendente' né a quella offesa. Né FdI né Pd, quindi, avranno l'incarico. Il presidente andrà trovato quindi tra gli altri vicepresidenti della Camera e - seguendo il ragionamento - sarà o l'azzurro Giorgio Mulè (che però dirigeva i lavori durante i fatti ed è stato parte in causa) o, più probabilmente il deputato M5S Sergio Costa.

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