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Conte e l'ultima guerra contro Letta. Cosa succede dopo le primarie del Pd

Gianfranco Ferroni
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Mai sottovalutare Giuseppe Conte. Eppure è un errore che hanno compiuto in tanti, credendo di avere a che fare con un «novellino» della politica, indicato a sorpresa come presidente del Consiglio dal movimento di Beppe Grillo. Il premier pentastellato «ha fatto vedere i sorci verdi a tutti», dicono a sinistra, al centro e a destra, sottolineando che «non è un tattico, ma uno stratega, e anche molto raffinato, obiettivamente». Emblematica, ed è solo l’ultima nell’ordine della lista, la «guerra» condotta contro Enrico Letta: l’evidente inconciliabilità tra i due professori ha subito raggiunto un punto di non ritorno, anche perché Conte i patti li aveva stabiliti con il precedente leader del Partito democratico, Nicola Zingaretti, e con il «leader maximo» della sinistra romana, Goffredo Bettini. Quest’ultimo ha sempre pronunciato parole di attenzione per «Peppino», a volte anche affettuose: e Conte ha ricambiato, sempre, stimando la storia pubblica e personale di Bettini.

 

«Quella con Letta sarà l’ultima battaglia contro il Pd», dicono al Nazareno, convinti che con la nuova segreteria, quella di Stefano Bonaccini, «tutto tornerà come ai tempi del secondo governo Conte». Anche se l’avvocato del popolo dopo le elezioni regionali vuole ripartire da una posizione di forza: la sconfitta del Pd nel Lazio, come indicata dai sondaggi, provocherà effetti a catena molto pesanti nella «sinistra che comanda a Roma», e i pentastellati avranno solo da guadagnarci. Per i dem «la candidatura di Donatella Bianchi ha essenzialmente lo scopo di abbattere, più che Alessio D’Amato, il principale partito che lo appoggia, che nei fatti è ancora guidato da Letta, in vista del congresso».

 

E tra i grillini il principale errore del «professore della Sorbona» è stato proprio quello di conservare la carica fino alla scelta del nuovo leader del Pd, quando invece «un rapido allontanamento dopo la sconfitta elettorale alle politiche avrebbe facilitato una convergenza su un unico candidato nel Lazio». Così, in Lombardia si potrà accusare il Pd di non aver lottato a sufficienza per far vincere Pierfrancesco Majorino, pur stando dalla sua parte, appoggiando la corsa alla presidenza della regione, e nel Lazio quello ai dem sarà definito come un «voto a perdere» capace solo di far disperdere le forze contrarie al centrodestra. Operazioni senz’altro utili, politicamente, per mettersi a un tavolo con il Pd, dopo le regionali, con maggiore visibilità e più peso: Bonaccini sarà senz’altro disposto a nascondere ogni difficoltà di dialogo, anche perché una rinnovata intesa con M5s gli permetterà di accantonare gli ultimi esponenti lettiani ancora presenti nel partito. Ricordando poi che nel 2024, ovvero l’anno prossimo, ci saranno le elezioni europee, e le liste nel Pd le farà l’attuale governatore della regione Emilia-Romagna. Dopo quello che è successo a Bruxelles, sarà il vero banco di prova del rinnovamento del partito. E visto che i pentastellati hanno sempre gridato «onestà, onestà»...

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