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Sul premierato dice no solo il Pd: si sgonfia la bicamerale

Carlantonio Solimene
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Presidenzialismo no. Premierato forse, con tutte le incognite che un simile percorso, quello delle riforme costituzionali, generalmente presenta. Alla vigilia della conclusione del primo «giro d’orizzonte» della ministra Maria Elisabetta Alberta Casellati con tutte le forze parlamentari (oggi vedrà le delegazioni di Alleanzaverdi e Sinistra oltre a+Europa, poi domani toccherà al Movimento 5 Stelle) si è registrata una convergenza abbastanza a sorpresa intorno all’ipotesi del premierato. Che, teoricamente, si differisce dal presidenzialismo perché a essere scelto direttamente dagli elettori non sarebbe il presidente della Repubblica, bensì il capo del governo. In realtà, il premierato vero e proprio non esiste in nessuna delle principali democrazie occidentali, così si indicano con quello stesso nome i sistemi che tendono a rafforzare i poteri del premier. Dandogli, ad esempio, la facoltà di nominare e revocare i ministri a suo piacimento e senza passare per l’«imprinting» del presidente della Repubblica e permettendogli di decidere autonomamente se sciogliere le Camere e andare a nuove elezioni. Il classico modello di riferimento è la Gran Bretagna, dove di norma il premier è il capo del partito che ha ottenuto più seggi in Parlamento. Ma si tratta di dettagli tecnici che, ovviamente, non sono stati ancora trattati al tavolo diretto da Casellati.

 

 

Di fatto, però, l’ipotesi premierato è stata finora scartata esplicitamente solo dalla delegazione del Partito democratico. Il modello, oltre a essere fortemente sponsorizzato dal Terzo Polo (in effetti ricorda l’ipotesi «sindaco d’Italia» più volte rilanciata da Matteo Renzi) incontra il favore della Lega e sarebbe considerata un compromesso accettabile anche da Forza Italia e Fratelli d’Italia, che mettevano il presidenzialismo tout court in cima alle loro preferenze. La novità è che, in attesa dell’incontro di domani, anche il Movimento 5 Stelle non chiude del tutto la porta a un approdo del genere. Alessandra Maiorino, capogruppo grillina in Commissione affari costituzionali a Palazzo Madama, ha detto che «per il M5S se si propongono misure equilibrate che vanno nella direzione di rendere più stabilii governi, per esempio introducendo la sfiducia costruttiva, ci sono margini di dialogo». La sfiducia costruttiva è sostanzialmente quello strumento nelle mani della maggioranza parlamentare che permette di «sfiduciare» un premier proponendo già il nome del successore. Un aspetto - mutuato sempre dalla Gran Bretagna - che ieri ha peraltro incontrato il favore anche di altri esponenti del centrosinistra come Bruno Tabacci.

 

 

In attesa del primo bilancio da parte di Casellati, resta lo scoglio dello strumento da individuare per arrivare all’obiettivo. Nelle ultime ore è data in rapida discesa l’ipotesi di una nuova bicamerale, non fosse altro per il fallimento di tutte quelle che l’hanno preceduta. La strada più semplice e immediata sarebbe la presentazione di un disegno di legge da parte del Governo, ma si potrebbe optare anche per un disegno di legge parlamentare. Per comprendere tutte le difficoltà del percorso, basti pensare alle occasioni in cui il premierato è già entrato in qualche modo nel dibattito sulle riforme in Italia. La prima volta, quando a proporlo, nell’ambito della bicamerale Bozzi (1983-85) fu l’allora Pci Cesare Salvi, il cui lodo però fu accantonato. La seconda quando la riforma fu addirittura approvata dal Parlamento, con il governo Berlusconi Ter, ma fu successivamente bocciata dagli italiani nel referendum confermativo. Insomma, la prima convergenza su un modello di riferimento è positiva ma la strada per arrivare al risultato resta lunghissima e incerta. Sul fronte delle Autonomie, invece, non sarà neanche questa la settimana in cui arriverà in Cdm il ddl Calderoli, su cui continuano a esserci alcune distanze in maggioranza. Più probabile che se ne parli la settimana prossima, in tempo comunque per dare un «segnale» in vista delle Regionali in Lombardia.

 

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