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Regionali Lazio, neanche il Pd crede alla vittoria. E D'Amato attacca i vertici

Daniele Di Mario
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Distratto dal congresso, il Partito democratico lascia solo Alessio D'Amato. I dirigenti democratici, credendo forse poco nelle effettive possibilità di vittoria del candidato presidente, preferiscono concentrarsi sulle regole delle primarie e il regolamento di conti interno, piuttosto che sostenere l'assessore alla Sanità nella corsa alla Regione Lazio. Una situazione che rischia di indebolire lo stesso D'Amato, che infatti sbotta e richiama all'ordine il proprio partito.

 

In una intervista al Fatto Quotidiano, il candidato governatore del centrosinistra non le ha mandate a dire, invitando i dirigenti democratici a fare campagna elettorale anziché pensare solo al congresso che vede opposti Stefano Bonaccini, Elly Schlein, Paola De Micheli e Gianni Cuperlo per la successione a Enrico Letta alla guida del Nazareno. «Sono impegnato nella corsa alla presidenza dela Regione, mi rivolgo a elettori ed elettrici su temi concreti. Forse sarebbe importante che il Pd si concentrasse, oltre che nella fase congressuale, anche nella battaglia che riguarderà tra Lombardia e Lazio oltre 15 milioni di persone. Dobbiamo fare in modo di vincere le regionali perché la vittoria nel Lazio potrebbe segnare un cambio nella percezione del Pd e anche una ripresa di fiducia in un popolo usicto socnfitto dalle elezioni», le parole di D'Amato.

 

Ma che la battaglia nel Lazio si possa vincere, lo pensano D'Amato e pochi altri. Claudio Velardi, ormai ex spin -doctor dell'assessore alla Sanità, qualche giorno fa in un tweet aveva accusato alcuni ignoti esponenti del Pd di remare contro. «Alessio è un ottimo candidato, competente, concreto e tenace, ma nel suo partito molti gli fanno la guerra, perché vogliono perdere», l'accusa di Velardi.

A chi si riferiva? Forse a quelle correnti del Pd che guardavano al campo largo o, comunque, all'alleanza con il M5S - ovviamente con un candidato presidente diverso - e non con il Terzo polo. O a chi invocava primarie che il Pd aveva prima lanciato e poi si è rimangiato dopo l'ultimatum arrivato da Carlo Calenda. Tanto che nel comitato di D'Amato si teme molto il voto disgiunto, che, cioè, alcuni candidati al Consiglio regionale invitino o lascino liberi i propri elettori di votare la candidata governatrice M5S Donatella Bianchi (o quello del centrodestra Francesco Rocca), purché non si dimentichino di indicare la preferenza nella lista Dem.

 

Voci, sospetti. Di certo c'è che nel Pd del Lazio è in corso un confronto molto aspro (c'è chi non esita a definirla una «guerra») tra le correnti del partito e, conseguentemente, tra i candidati al Consiglio regionale. Uno scontro che va oltre il legittimo interesse a essere eletti. In ballo ci sono gli equilibri nel partito in vista del congresso nazionale, ma anche - se non soprattutto- di quello regionale e di quello romano.

AreaDem e zingarettiani da una parte. Manciniani (area di riferimento del sindaco di Roma Roberto Gualtieri) dall'altra. Uno scontro senza esclusione di colpi in cui sono entrati i veleni sulle nomine ritirate agli Egato e quelle last-minute in Città Metropolitana. Veleni che si protraggono da agosto e dalla diffusione del famoso video dell'ex capo di gabinetto di Gualtieri, Albino Ruberti.

 

Uno scontro che vede opposto Antonio Pompeo a Sara Battisti in provincia di Frosinone. Che vede da una parte Daniele Leodori, Emanuela Droghei, Massimiliano Valeriani e Michela Califano; e dall'altra Mario Ciarla ed Eleonora Mattia. Tutti candidati alla Pisana negli opposti schieramenti. Protagonisti del confronto per i nuovi equilibri del Pd a Roma e nel Lazio. D'Amato, dal canto suo, tira dritto e invita gli elettori al «voto utile», magari anche attraverso il disgiunto. Ma a suo favore. Una mossa per dissuadere tanti elettori di sinistra a votare per il M5S.

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