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Elly Schlein compagna porta il Pd sempre più a sinistra: pugni chiusi e "bella ciao"

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Claudio Querques
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"Io sono Elly". La sinistra alla ricerca della sua «Giorgia» si aggrappa alla Schlein, cognome da codice fiscale e fino a ieri periferia chic del partito democratico. Ora che si è candidata ufficialmente alla segreteria del Nazareno, lei, 37 anni, nata a Lugano, deputato neo-eletta, incarna alla perfezione l'alter ego della Meloni. Famiglia cosmopolita italo-americana, tripla cittadinanza, estrazione altolocata, studi in Svizzera e cuore che batte furiosamente a sinistra. Per annunciare la sua discesa in campo ha scelto il Monk, spazio cult del Portonaccio, strapieno ancora prima di cominciare. Fuori ci sono i blindati della polizia. Dentro si sta tutti in cerchio, abolito «democraticamente» il palco, pugni chiusi e si intona «Bella ciao».

Il primo pensiero è per la sorella Susanna, diplomatica ad Atene, vittima di un grave attentato. «Sono stati giorni difficili, avevo proprio bisogno di vedervi», rompe il ghiaccio, e scrosciano i primi applausi. Fuori dal locale scene daperiferia, la solita Roma allagata dalla pioggia. Money transfer che si alternano a frutterie gestite da immigrati. «Siamo qui per fare il nuovo Pd», riprende Elly, «riprenderò la tessera del partito, ripartiamo dalle disuguaglianze e della precarietà».

La scelta del luogo, a distanza di sicurezza dalla Ztl, le toglie di dosso quel profumo di cachemire che i suoi detrattori vorrebbero attribuirle. Informale, jeans, camicia a righe bianche e rosse, giacca blu elettrico, Elly si presenta come la paladina delle diversità. «Ma non è sano sostenere che mi occupo solo di diritti civili, e questo solo per il mio orientamento sessuale», si toglie uno dei tanti sassolini che ha nelle scarpe. L'invito a riascoltare la base, l'attenzione per i territori, sono un ritornello al quale ormai siamo abituati, e lei non sfugge alle regola. Dice che la fase costituente non può finire con le primarie: «Serve una "Cosa" nuova - invoca il cambiamento la Schlein - perché quello che siamo stati finora non basta. Non sprechiamo la costituente: una sfida, non la vince chi si candida ma una comunità, con una nuova classe dirigente».

Chiama a parlare i testimoni delle sue battaglie. Giulia Pelucchi, presidente di un municipio milanese ad alta densità popolare e manda il suo in bocca al lupo a Majorino, candidato pd alla regione Lombardia. Rivendica l'impegno profuso da assessore al Welfare della regione Emilia-Romagna durante la Pandemia e da europarlamentare, boccia Calderoli e il suo ddl sull'autonomia differenziata. «Parti con noi» è lo slogan ma il filo rosso è la radicalità, il ritorno alle origini con quelle provocazioni che sembrano fatte apposta per «épater les bourgeois».

La domanda però è sempre la stessa: come reagirà l'area cattolica, la componente più moderata del partito alle sue «provocazioni»? In platea ci sono Peppe Provenzano, Michela Di Biase e Chiara Braga. E applaudono quando Elvira Tarsitano, assessore tecnico di Mola di Bari parla di bioeconomia circolare, transizione ecologica e giustizia sociale. Poi è la volta di Michele Franchi, il sindaco di Arquata del Tronto che paragona la sua cittadina terremotata allo stato attuale del Pd perché, dice, «i capibastone hanno tenuto lontano dal partito la gente come te». «Non era sbagliato il programma, erano sbagliate le persone» incalza l'ex leader di Occupy Pd che aspetta a stretto giro l'appoggio di Dario Franceschini e in parte di Area Dem. Per il momento deve accontentarsi dei complimenti di Roberto Morassut («condivido molte delle cose che dice») e dei tentennamenti di Andrea Orlando. In quanto a Giorgio Gori che vorrebbe andarsene qualora lei dovesse vincere, la cosa non la preoccupa, «penso a chi arriva, non a chi se ne va».

C'è tempo per un saluto e un «abbraccio» al competitor Bonaccini, per chiedere alla Meloni di ritirare la querela a Saviano, per promettere che accetterà l'esito del congresso qualunque esso sia. E per rispondere a chi, come Renzi, «non meriterebbe una risposta», quando dice «che ci ha messo lui in Parlamento». «Per quanto mi riguarda - fa la faccia cattiva Elly Schlein - in Parlamento mi ci hanno messo 53mila preferenze. A Renzi va un altro merito - lei aggiunge - aver spinto me e tanti altri fuori del Pd con le sue scelte arroganti, la sua guida scellerata, ha lasciato macerie e se ne è andato a fare altro».

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