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Manovra di bilancio, un piano per l'Italia in dieci giorni

Carlantonio Solimene
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Da una parte il «realismo» e la «prudenza» garantiti ieri dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ai colleghi dell’Ecofin, primo test’«europeo» per il titolare del Tesoro. Dall’altra la necessità di mettere nero su bianco alcune delle promesse elettorali, pur dovendo muoversi tra le pieghe tiranne di una coperta corta chiamata conti pubblici. Sono i due poli in mezzo ai quali nascerà la prima manovra dell’era Meloni. E la mediazione è stata già individuata: il grosso del budget a disposizione - circa 23 miliardi - sarà investito per mitigare l’effetto del caro bollette. Ma ci sarà anche spazio per degli «assaggi» su Fisco e pensioni. Magari reperendo le risorse necessarie attraverso i tagli che saranno effettuate su due misure bandiera del grillismo: il Reddito di cittadinanza e il Superbonus. Quindi un «po’» di Flat tax (estesa fino a 85-90mila euro per gli autonomi e non a 100mila), un «po’» di Quota 41 (non varrà per tutti ma avrà una soglia minima di età anagrafica per l’accesso) e un «po’» di pace fiscale. Cancellando le cartelle inesigibili di valore inferiore ai mille euro anche se il sogno era portare la soglia a tremila.

La difficoltà supplementare - come se le altre non fossero già sufficienti - sta nei tempi. A chiarirli è stato ieri Matteo Salvini: ci vorranno dieci giorni per portare la prima bozza della legge di Stabilità in Consiglio dei ministri. Al massimo il Cdm in questione potrà tenersi nell’ultima decade di novembre. Questo perché l’insolita tornata elettorale d’autunno ha già costretto il governo a ritardare di un mese - rispetto alla prassi abituale - la scrittura del testo. Una volta varato il testo, questo andrà spedito a Bruxelles per l’avvio dell’interlocuzione con l’Unione europea. L’auspicio è che non ci siano opposizioni ai numeri di contorno già disegnati venerdì scorso nella Nadef. Con le previsioni del governo e l’indebitamento netto del 2023 portato al 4,5% del Pil, ci sono a disposizione circa trenta miliardi da suddividere tra il decreto Aiuti quater che sarà licenziato probabilmente questo venerdì (circa 9 miliardi) e il resto da investire sul 2023. Alla fine l’Europa potrebbe essere convinta non solo dal contesto - che tutto richiede fuorché manovre «restrittive» - e dalle parole rassicuranti di Giorgetti, ma anche dalle stime piuttosto prudenti sull’andamento del Pil. Per il 2022 il governo, nonostante il dato già acquisito al terzo trimestre sia una crescita del 3,9% e il mercato del lavoro dia segnali incoraggianti, ha indicato una salita di «solo» il 3,7%. Alla fine il dato potrebbe essere superiore. E aprire margini di intervento anche per il primo semestre del 2023, qualora il caro bollette non dovesse presentare schiarite all’inizio del prossimo anno.

 

 

 

Poi, certo, bisognerà cominciare a fare i conti con il debito pubblico monstre, specie se si considera che a fine 2023 terminerà la sospensione del Patto di stabilità. Ma la speranza, per quella data, è di aver contribuito a una riscrittura delle regole di bilancio continentali meno ottusa e restrittiva. Di questo, soprattutto, si è parlato all’Ecofin di Bruxelles. Domani, infatti, la Commissione europea presenterà le sue linee guida per il nuovo Patto di Stabilità e Crescita, che serviranno da base per la discussione che porterà al nuovo strumento nel 2024. Le nuove regole dovrebbero prevedere percorsi di rientro del debito tagliati su misura per paese con degli impegni precisi, sullo schema del Next Generation Eu, in cambio di flessibilità. «Sicuramente qualche passo in avanti dovrebbe esserci, però qualsiasi ipotesi deve avere dei requisiti: la semplicità e la fattibilità», ha rimarcato Giorgetti. Dall’Italia l’Ue si attende «grande cautela, come è necessario per i Paesi ad alto debito», per dirla con il commissario Paolo Gentiloni. Con Giorgetti «lo scambio è stato assolutamente positivo» ha detto il presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe, che ha elogiato «un fortissimo impegno a gestire le finanze italiane adeguatamente». Quasi con un colpo di scena Giorgetti ha confermato l’impegno del precedente governo di ratificare la riforma del Trattato del Mes, il Fondo Salva-Stati, a cui a suo tempo Lega e Fratelli d’Italia si erano opposte. All’appello mancano solo Italia e Germania, quest’ultima in attesa della sentenza della Corte costituzionale federale su un ricorso. «Mi attesto sulle posizioni del precedente governo di cui facevo parte. Aspettiamo le decisioni della Corte tedesca e poi decideremo», ha affermato il ministro al termine dell’Eurogruppo. Un cambio di rotta che lascia presagire un nuovo corso del pensiero del centrodestra di governo verso le regole dell’Unione europea.
 

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