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Elezioni 2022, Enrico Letta è il vero sconfitto: Pd pronto a sostituirlo dopo il flop

Dario Martini
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«La rimonta è possibile, andiamo a vincere», gridava Enrico Letta tre giorni fa dal palco di piazza del Popolo. Il risultato delle urne lo costringe a fare i conti con una realtà diversa: nessuna rimonta e nessuna vittoria. Il Partito democratico secondo le prime proiezioni si fermerebbe al 18,3. Nel 2018, quando c'era Matteo Renzi, ottenne il 18,7%. Inutile girarci intorno. Il segretario del Pd è il vero sconfitto di questa tornata elettorale. La sua poltrona al Nazareno ha vacillato per tutta la campagna elettorale. Ora rischia di perderla del tutto. La successione è già nei fatti. I "competitor" di Letta scaldano i motori già da settimane. In pole ci sono il presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, e il vicesegretario del partito, Peppe Provenzano. A sostenere il primo, oltre a Dario Franceschini, c'è Base riformista, la corrente che fa capo al ministro uscente della Difesa Lorenzo Guerini e a Graziano Delrio. Il secondo, invece, piace ad Andrea Orlando ed è l'uomo ideale per spostare ancora di più l'asse a sinistra verso Fratoianni. Nella corsa al Nazareno non dovrebbe mancare nemmeno un candidato espressione dell'area di Letta. Si fa il nome di Paola De Micheli. Circola anche l'ipotesi di Debora Serracchiani, che ieri sera prima delle 23 diceva che «avrebbe messo la firma per prendere almeno il 21%». E c'è anche il nome di Elly Schlein, vicepresidente dell'Emilia Romagna molto attiva nel campo dei diritti sociali. Il suo intervento al comizio finale di Roma è quello che ha scaldato maggiormente la piazza.

 

 

Insomma, Enrico adesso non sta affatto sereno. La migliore metafora della sua campagna elettorale è il pulmino elettrico, quello con cui ha percorso l'Italia in queste ultime settimane. O meglio, con cui avrebbe voluto muoversi ma non ci è quasi mai riuscito, perché fermo ai box a causa della batteria scarica o perché centrato da un fulmine. Probabilmente gli elettori hanno avuto la percezione di un leader mai padrone di se stesso e della situazione. Scavalcato da un lato dal Movimento 5 Stelle, che è riuscito a intestarsi alcune battaglie prettamente di sinistra: dal contrasto alla povertà al salario minimo. Sull'altro versante, a destra, seppur sempre nel campo del centrosinistra, si è visto oscurare da Carlo Calenda e Matteo Renzi. La coppia fondatrice del Terzo polo è riuscita a sottrargli uno dei suoi cavalli di battaglia: il "draghismo", ovvero la necessità di far tornare Mario Draghi a Palazzo Chigi. Letta, invece, ha preferito stringere un'alleanza con coloro che Draghi lo hanno sempre osteggiato in ogni modo: i Verdi di Bonelli e Sinistra italiana di Fratoianni.

 

 

Per Letta non è stata una campagna elettorale facile, costretto a doversi difendere ogni giorno dai distinguo dei suoi compagni di partito. Il vice Andrea Orlando, ad esempio, non ha mai nascosto il suo gradimento per il reddito di cittadinanza, misura simbolo del M5S. Una posizione chiara su questa misura il Pd non l'ha mai avuta. Letta ha sempre spiegato che di per sé è giusta ma va migliorata. Una posizione vaga che non è né carne né pesce. Se il segretario ha sempre rivendicato la bontà della decisione di chiudere il rapporto con Giuseppe Conte, molti esponenti dem, Nicola Zingaretti in testa, hanno spinto nell'altra direzione, convinti che solo a braccetto con i grillini ci sia un futuro. Il governatore del Lazio si è reso protagonista di una campagna elettorale da "separato in casa", con uno slogan tutto suo: «Prima le persone». Letta, invece, ha puntato sul più semplice «Scegli», con i manifesti divisi a metà, da una parte il rosso (lui), dall'altra il nero (gli avversari). Una grafica diventata subito virale sui social grazie alle tantissime parodie realizzate dagli utenti. Non c'è dubbio che il suo più grande errore sia stato quello iniziale: non riuscire a mettere in campo un'alleanza larga del centrosinistra da contrapporre al centrodestra.

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