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Enrico Letta è già un ex segretario. Nel Pd manovre in corso per la successione

Dario Martini
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La metafora della campagna elettorale di Enrico Letta è l'ecobus con cui gira l'Italia nella speranza di recuperare un po' di consensi. In realtà, non percorrerà tutto il Paese dalle Alpi alla Sicilia. Si limiterà alle regioni del centro e del nord, «vista l'oggettiva difficoltà al sud di trovare le colonnine per la ricarica», spiegano fonti vicine al leader dem. Nelle regioni al di sotto del Tevere sarà costretto a muoversi con un altro mezzo. Insomma, il tour ecologico è partito già "scarico". Con il terrore del segretario di ritrovarsi sotto al 20% il 25 settembre. Ed essere costretto a fare la stessa fine di Bersani nel 2013 o Renzi nel 2018. Se il centrodestra riuscirà davvero ad ottenere il 70% dei seggi in Parlamento, il destino di Letta appare segnato. I suoi compagni di partito sono già pronti a dargli il benservito e rispedirlo, valigia in mano, a Parigi.

Se le previsioni più nere fossero confermate, il leader sarà messo sotto accusa. Stefano Bonaccini, governatore dell'Emilia Romagna, e Peppe Provenzano, vicesegretario del partito, scaldano i motori. Il primo, riformista, volto "pop" lontano dagli schemi della vecchia Ditta, assicura pubblicamente di non essere interessato a prendere il timone. Chi lo conosce bene, però, assicura che «se chiamato in causa non si tirerà certo indietro». Il secondo, invece, è il preferito della sinistra. Vicino ad Andrea Orlando, ultimamente ha acquistato maggiore autonomia dall'altro vicesegretario. È l'uomo ideale per spostare ancora di più l'asse verso Nicola Fratoianni e dire addio, definitivamente, all'ipotesi di un riavvicinamento post-elettorale con Matteo Renzi e Carlo Calenda.

Poi ci sarà da capire come verrà scelto il nuovo segretario. Letta non è passato dalle primarie. Ma stavolta non ci sarebbero ragioni per non seguire la strada con cui tradizionalmente il Pd incorona il suo leader. Per distinguere gli attori in campo non bisogna guardare solo a Bonaccini e Provenzano. Non c'è foglia nel partito che si muova senza che Dario Franceschini ne sia al corrente. Qualcuno ipotizza che il ministro della Cultura uscente, "paracadutato" capolista nel plurinominale a Napoli, possa essere chiamato ad assumere la reggenza verso il congresso, in modo da avere le "carte in mano" in vista delle primarie. Il suo primo passo sarebbe riavvicinarsi al M5S. Senza comunque chiudere la porta in faccia al Terzo polo.

A sostenere Bonaccini, oltre a Franceschini, ci sarebbe Base Riformista, la corrente che fa capo al ministro della Difesa Lorenzo Guerini e a Graziano Delrio. È la componente più penalizzata da Letta al momento della definizione delle candidature. Non a caso, Guerini e Delrio stanno tenendo un atteggiamento molto defilato.

Nella corsa al Nazareno non dovrebbe mancare nemmeno un candidato espressione di Letta. Si fa il nome Paola De Micheli. In campo, almeno sulla carta, dovrebbero esserci anche altre donne, in un partito che da sempre si dice attento alla parità di genere ma che non è mai riuscito a scegliere un segretario che non sia un uomo. Circolano i nomi delle vicepresidenti del partito Debora Serracchiani e Anna Ascani. Ma nessuno crede veramente che abbiano qualche speranza di farcela.

Un po' di chance in più, comunque poche, potrebbe averla Elly Schlein, vicepresidente dell'Emilia-Romagna, nonché assessore nella giunta Bonaccini.
Infine, c'è la partita che sta giocando il governatore del Lazio (ancora per poco) Nicola Zingaretti. Ha scelto manifesti elettorali diversi da quelli ufficiali del partito, fa comizi da solo e si autofinanzia. L'ex segretario ha pure uno slogan tutto suo: «Prima le persone». L'obiettivo? Fare il pieno di consensi e poi avviarsi al congresso. Insomma, dovunque si giri, Letta è circondato. Ieri, in un comizio ad Alessandria, ha raccontato: «Tante persone mi scrivono e mi dicono, "Ti sei pentito di essere tornato?", no, non mi sono pentito, perché non c'è onore più grande che battersi in libertà per il proprio Paese, perché il destino non è già scritto, lo scriveremo noi». È vero, in un'elezione non si è mai battuti in partenza. Ma Letta sa bene che i suoi compagni si stanno già preparando al dopo Waterloo.

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