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Pd, Nicola Zingaretti lancia la sfida a Enrico Letta: guerra fratricida per il potere

Claudio Querques
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Balla da solo, Nicola Zingaretti. Manifesti e slogan personalizzati, comizi solitari, strizzando l'occhio ai dissidenti dem e ai 5 Stelle, a distanza siderale da Enrico Letta. Il suo è ormai un altro partito, una corrente interna che non divide con il Nazareno neanche le sfumature cromatiche, quei maxi-cartelloni su sfondo rosso e nero con l'enfatico invito a scegliere di cui tanto si è parlato. Una campagna elettorale, quella del segretario pisano, lanciata in pompa magna, scritta con l'evidenziatore che per assurdo rischia di risultare neutra e passare inosservata. Gli avversari color nero seppia, gli amici rosso sbiadito. Zinga non ha gradito e a modo suo ha preso le distanze. Non vuole correre rischi, cerca una importante affermazione personale per tornare ad avere un ruolo nel partito. Da qui la scelta di formare un suo comitato per raccogliere fondi a sostegno della sua candidatura, capolista nel collegio uninominale Roma 1. Non vuole vincere, vuole stravincere, entrare a Montecitorio sul cavallo bianco, a prescindere da come andranno le cose per il Pd. Con uno sguardo al dopo-Letta.

 

 

Via dunque quel rosso dai manifesti, roba da comunisti trinariciuti, che non fa più appeal. E viva il blu, l'arancione, il verde sdoganando uno slogan da supermercati «Prima le persone». Fa molto Conad ma potrebbe funzionare. Affissioni ovunque, a partire dagli autobus, con preferenza per le linee che circolano nel perimetro elettorale. Spiega Zinga: «Oggi la prima esigenza è occuparci di creare benessere e speranza, senza lasciare nessuno indietro. Sono i valori che ci hanno guidato nella lotta alla pandemia e che ora devono essere messi alla base di un nuovo progetto per l'Italia. È tempo di mettere la persona e la sua dignità al centro dello sviluppo e quindi dell'azione della politica. Di fronte alle conseguenze sociali ed economiche della pandemia e poi della guerra, serve - ha insistito presentando il suo "simbolo" il presidente della Regione Lazio - dare una missione chiara agli investimenti che abbiamo conquistato, a partire da quelli del Pnrr. Votare il Pd e la nostra coalizione significa combattere le diseguaglianze che indeboliscono l'Italia, sostenere la vitalità delle imprese per creare buon lavoro e dare certezze alla vita delle persone. Se non vinceremo questa battaglia si potrà curare solo chi ha molti soldi, studierà solo chi ha famiglie che potranno pagare e aumenterà lo sfruttamento di chi lavora o cerca lavoro. Vogliamo vincere per un futuro di opportunità e non di paure».

 

 

Se non siamo a dem contro dem poco ci manca. Del resto non è mistero che Zinga non avrebbe mai rotto con i grillini con i quali governa la regione Lazio. Che se fosse dipeso da lui, si sarebbe già dimesso da governatore per non scalfire il profilo della sua candidatura. Ha ceduto alla richiesta di Letta, lasciare solo dopo il 13 ottobre quando ci sarà la proclamazione ufficiale degli eletti e la sua carica alla Pisana diventerà incompatibile. In questo modo il Pd avrà più tempo per rialzarsi in caso di disfatta elettorale e potrà recuperare le forze per competere alle prossime regionali. Ed ecco l'altro punto dolente. Il caso-Ruberti è tutt'altro che smaltito. Anzi. L'ex capo di gabinetto colto in piena crisi isterica nel Frusinate ha lasciato un vuoto. Non era solo il collaboratore più stretto del sindaco Gualtieri ma anche il Superassessore, il mister Wolf del Campidoglio. Il suo successore, Alberto Stancanelli, 59 anni, consigliere della Corte dei conti, l'altro giorno in una riunione molto ristretta, lo ha detto chiaramente. «Non avrò un ruolo politico ma solo tecnico, non tratterò tutti i dossier aperti dal mio predecessore». Il vuoto insomma resta. E in quel vuoto sguazzano le correnti per occupare le postazioni lasciate libere dal Ruberti-furioso.

 

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