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Meloni, Salvini e Berlusconi, i politici hanno scoperto che TikTok è irrinunciabile

Domenico Giordano
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Quando nei primi giorni di novembre del 2019, il segretario della Lega, Matteo Salvini, sbarcò ufficialmente su TikTok, in tanti, per non dire quasi tutti, dentro e fuori il Palazzo della politica, commentarono questa scelta con una discreta dose di sorrisini e alzate di spalle. Diffidenza e scetticismo, in parte comprensibili, furono le reazioni dilaganti. Qualche settimana più tardi, fu Giorgia Meloni ad aprire un account sulla piattaforma, che allora tutti pensavano fosse solo un rifugio digitale per adolescenti brufolosi ma che iniziava già a crescere a ritmi maggiori di tutte le altre, tanto che oggi oltre il 67% degli iscritti ha più di 25 anni. In verità se vogliamo essere precisi, l’esordio della Meloni su TikTok, che è e rimane una piattaforma di contenuti più che un social network in senso stretto, c’era già stato prima pure di Salvini, indipendentemente dalla volontà della stessa leader di Fratelli d’Italia, grazie al tormentone remix «Io sono Giorgia» lanciato dai «Mem & J» e utilizzato dai tiktoker come colonna sonora dei video che postavano. Perché, per l’algoritmo di base che governa il social cinese, la componente musicale è fondamentale per assicurarsi la viralità del contenuto.Del resto, a oggi, come mostrano gli insight di TikTok, i video etichettati come «Io sono Giorgia» hanno totalizzato oltre 238 milioni di visualizzazioni.

Così nei tre anni successivi dietro i due pionieri Salvini e Meloni ci sono andati tanti altri politici che hanno aperto il proprio account TikTok, per lo più senza tanto clamore, quatti quatti e in sordina. Un silenzio voluto, per non pagare pegno all’incoerenza che fino al giorno gli aveva fatto snobbare pubblicamente l’utilizzo della piattaforma. Così, ecco che la fila dei politici si allunga giorno e dopo Giuseppe Conte, Gianluigi Paragone, Alessandro Di Battista e perfino Vincenzo De Luca, l’altro ieri è arrivato anche il turno di Carlo Calenda. Solo che il leader di Azione nel video inaugurale si incarta subito nel pregiudizio di cui sopra: «Uno, io non so ballare sembro un orso ubriaco due, non posso dare consigli di make up perché c’ho la pancia e sono brutto. Però posso parlarvi di politica, di libri e di cultura». Se conserva questo approccio esclusivamente soggettivo – della serie, è l’ecosistema della piattaforma a doversi adeguarsi a me e non viceversa - difficilmente Calenda potrà sfruttare la capacità di TikTok, per la quale oltretutto gli è stato suggerito di aprire un suo account, di viralizzare i contenuti e renderli popolari più di tutti gli altri social. Infatti, a differenza di Instagram o Facebook, sul social lanciato in Cina nel 2014 dalla Bytedance e approdata in Europa appena appena cinque anni fa, i contenuti video hanno percentuali di interazione e un engagement che non trova uguali e sono del tutto sganciati anche dal numero di follower dei singoli account. L’ultimo in ordine di arrivo è Berlusconi che da oggi sarà su TikTok. Proprio ieri, del resto, TikTok Italia ha pubblicato la policy per garantire l’integrità elettorale sulla propria piattaforma dove erano peraltro già vietate le pubblicazioni di contenuti politico-elettorali a pagamento. L’obiettivo principale – come si legge sul sito – è di «garantire l’accesso a informazioni autorevoli, per questo motivo abbiamo attivato oggi un Centro Elezioni per aiutare chi interagisce con contenuti in materia ad attingere a fonti e informazioni affidabili». La riprova che TikTok oggi sia diventato per i politici, almeno per i leader in cerca di quote crescenti di audience in vista della scadenza elettorale del 25 settembre, un approdo irrinunciabile, è data da alcuni semplici numeri. Basta guardare, ad esempio, all’engagement e al tasso di interazione dei contenuti degli ultimi 28 giorni dei profili dei leader politici per constatare come qui un video riesce facilmente a generare un engagement che supera il 25%, quando la media delle altre piatteforme stente a raggiungere il 5% o quella dell’interazione con il post arriva addirittura – è il caso di Conte – al 72% contro un valore medio del 3% nello stesso periodo. Per non parlare poi delle visualizzazioni, che ci restituisce la misura di presidiare l’info-sfera dei social da parte dei politici, con l’hashtag #giorgiameloni che ha ottenuto oltre 200 milioni di visualizzazioni, mentre l’hashtag #matteosalvini ne ha incassate altre 92 milioni.
 

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