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Riforma della giustizia, appena approvata è già corsa a cambiarla. Ecco cosa non va

Dario Martini
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Quattro giorni dopo il fallimento del referendum, per mancato raggiungimento del quorum, il Senato approva la legge sulla riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura. La ministra Cartabia e il governo Draghi nel suo complesso possono tirare un sospiro di sollievo dopo mesi e mesi di scontri e una valanga di emendamenti. Alla fine la maggioranza tiene, nonostante Italia viva e cinque leghisti scelgano di astenersi (Calderoli, Ostellari, Pillon, Doria e Bagnai). I sì sono 173, i no 37. A spiegare la posizione di Iv è lo stesso Matteo Renzi nel suo intervento in aula a Palazzo Madama. Poco più di dieci minuti in cui non risparmia critiche a una riforma definita «più inutile che dannosa».

 

 

 

Insomma, secondo il senatore fiorentino questa legge non scioglie i veri nodi che affliggono la giustizia italiana da decenni. «Signora ministra Cartabia noi non voteremo la sua riforma - esordisce Renzi - Una riforma della giustizia e dell’ordinamento giudiziario serve, la sua serve meno di quello che noi speravamo. Non tocca il potere delle correnti, non tocca la responsabilità dei magistrati, e soprattutto lascia un po’ di amaro in bocca per la modalità con cui è arrivata al traguardo. Non voteremo contro, ci asteniamo perché la riforma non fa danni, a differenza di altre scelte del passato. Non è quel passo in avanti che serviva». Il leader di Italia viva ricorda che negli ultimi trent’anni sono finiti in carcere in media tre innocenti al giorno. E i magistrati non pagano mai per i loro errori, se è vero che «ogni anno lo Stato paga danni per 25-30 milioni di euro». Un altro punto su cui non si mette mano, sempre secondo il senatore, è «la presenza massiccia di magistrati negli uffici tecnici dei ministeri che fanno e disfano le leggi». Sarebbero circa duecento secondo le ultime stime. In realtà, il testo approvato ieri al Senato prevede una loro riduzione, ma si tratta solo di un principio contenuto nella delega si stabilirà nei decreti attuativi il nuovo numero limite. Inoltre, i magistrati potranno essere collocati fuori ruolo non prima di 10 anni.

 

 


Problemi e sprechi su cui la riforma Cartabia, secondo Renzi, non incide minimamente. Però, almeno, non peggiora la situazione. È all’incirca la stessa valutazione che dà la senatrice leghista Giulia Bongiorno, secondo la quale «questa riforma ha dei profili positivi, una serie di novità positive», come «il miglioramento nella valutazione dei magistrati, insomma ci sono dei piccoli passi avanti. Il problema è un altro: è soltanto un piccolo ritocco e non una trasformazione radicale del sistema». Durante il suo intervento in aula, la senatrice ricorda anche che «questa è una riforma che avviene nel 2022, dopo lo scandalo Palamara. Di fronte a rivelazioni sconvolgenti ci vuole un cambiamento sconvolgente, non ritocchi. Noi della Lega, ma credo che su questo posso dire noi del centrodestra, non crediamo più al fatto che improvvisamente la magistratura si autoriformerà. Noi crediamo fortemente nel fatto che una riforma efficace sia dovere del legislatore, e noi faremo una riforma coraggiosa che cambierà finalmente qualcosa nell’interesse di tutti». Una promessa che guarda al futuro, alle prossime elezioni politiche. Quando la Lega conta di cambiare veramente la giustizia italiana. Non è un caso che il relatore della legge, il leghista Andrea Ostellari, si sia astenuto.

 

 

 


Le dichiarazioni degli esponenti del Carroccio e di Italia viva stridono con quelle di Partito democratico e Cinque stelle, nonostante facciano parte della stessa maggioranza che sostiene Draghi. L’unica cosa che li unisce è la volontà di non far cadere il governo in questo momento. Non bisogna scordare che Enrico Letta nelle settimane scorse ha chiesto esplicitamente ai suoi elettori di disertare le urne per il referendum. Per la capogruppo Dem al Senato, Debora Serracchiani, il Parlamento «ha scritto una buona pagina, che assicura un funzionamento della giustizia sempre più efficace e giusto». Mentre Alessandra Maiorino, che guida i pentastellati in commissione Giustizia a Palazzo Madama, ritiene che «il testo» divenuto legge» sia «di gran lunga migliore di quello che sarebbe uscito dai referendum».
È abbastanza scontato invece il commento a caldo dell’Associazione nazionale magistrati, che a maggio ha pure scioperato un giorno per impedire l’approvazione della legge. «La riforma approvata in via definitiva dal Parlamento in materia di Csm e ordinamento giudiziario «contiene profili di dubbia conformità al disegno costituzionale», afferma il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia. «Si tratta di una legge delega, chiederemo che i principi vengano attuati in modo meno impattante, vedremo come sia possibile smussare i profili di maggior attrito costituzionale. Chiederemo al governo di darci l’attenzione finora non dimostrata». Il fatto che il risultato finale non sia ottimale emerge anche dalla valutazione del Consiglio nazionale forense. La presidente dell’organismo che rappresenta gli avvocati italiani, Maria Masi, parla di «passo avanti verso un maggiore equilibrio tra funzioni e poteri degli operatori del diritto», ma ammette: «Non è la riforma migliore possibile». Più critica l’Associazione italiana giovani avvocati: «Considerare quanto legiferato oggi un traguardo sarebbe uno sbaglio, occorre ancora fare molta strada per correggere le tante storture del sistema»

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