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M5s mai così male, Luigi Di Maio attacca Giuseppe Conte: "Bisogna prendersi le responsabilità". Venti di scissione

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Il nuovo strappo era nell'aria. Luigi Di Maio si prende qualche giorno di riflessione dopo il primo turno delle amministrative, deludente per il Movimento 5 Stelle. Lascia sobbollire gli umori interni, poi rompe il silenzio e attacca frontalmente il leader Giuseppe Conte. Alle elezioni "non siamo mai andati così male" e "non si può dare sempre la colpa agli altri, risalendo addirittura all'elezione del presidente della Repubblica, per dire che siamo andati così male. Bisogna prendersi le responsabilità", tuona il ministro degli Esteri. Le sue parole hanno l'effetto di galvanizzare i parlamentari a lui vicini, o comunque scontenti del nuovo corso - che evocano lo spettro di una possibile scissione. Ma il presidente Cinque stelle non ci sta e a stretto giro risponde: se Di Maio vuole fondare un nuovo partito "ce lo dirà lui in queste ore", taglia corto Conte, che rivendica: "Io in campagna elettorale ho messo la faccia dappertutto" e dopo le elezioni "ho fatto due conferenze stampa. So come assumermi la responsabilità quando si ha una leadership politica".

In realtà Di Maio va oltre ed entra nel merito. Non nomina mai Conte ma è chiaro che imputa a lui gli errori del Movimento, uno dei quali sarebbe di mettere in discussione la linea politica del Governo e le alleanze internazionali in un momento così delicato. "Non possiamo stare nel Governo e poi, un giorno sì e un giorno no, solo per imitare Salvini, attaccare il Governo", dice il ministro, che non condivide "l'ambiguità rispetto alle alleanze internazionali storiche" e, in vista delle comunicazioni sul conflitto ucraino del premier Mario Draghi in Parlamento il 21 giugno, avverte: "Non credo sia opportuno mettere nella risoluzione della frasi o dei contenuti" che "disallineano l'Italia dall'alleanza Nato e dall'Unione europea". L'altra accusa mossa Conte è che serva "meno autoreferenzialità" e un "grande sforzo di democrazia interna", aggiunge l'ex capo politico, che con una battuta velenosa confessa ai cronisti: "Parlo a voi perché non esiste un posto dove poter parlare oggi".

Dal canto suo Conte liquida come "stupidaggini" le affermazioni su una presunta posizione del M5S contro Nato e Ue e ricorda che "quando era leader Di Maio quello statuto prevedeva un solo organo, il capo politico. Che ora faccia lezioni di democrazia interna a questa comunità fa sorridere". Ma soprattutto dà una sua lettura ben precisa delle ragioni dell'attacco di Di Maio: "Siamo alla vigilia di un appuntamento importante per la storia del Movimento, ovvero la votazione sul mantenimento del doppio mandato, ed era prevedibile che fosse motivo di fibrillazione anche per le sorti personali di tante persone che si sono impegnate col Movimento".

Sui fronti opposti si schierano le 'truppe' di parlamentari a sostegno dei due. Ma a farsi sentire sono soprattutto i 'dimaiani', rinfrancati dalle parole del ministro. Che "ha dato voce allo scontento di tantissimi deputati e senatori - dice a LaPresse un componente pentastellato della Camera - che sono molti di più di quelli considerati suoi fedelissimi. Se questi ultimi sono una trentina in totale, gli scontenti del nuovo corso di Conte arrivano anche alla metà dei parlamentari cinque stelle". Il problema è capire quali saranno le loro prossime mosse. Sono diversi quelli che si augurano l'apertura di una trattativa con Conte su tutti i nodi da sciogliere: alleanze a partire da quella col Pd, linea politica pro o contro il governo, deroga al doppio mandato. L'alternativa per il momento è solo sussurrata ma potrebbe prendere corpo, ovvero quella di una scissione.

"Le parole di Di Maio - conferma un senatore - rendono chiara una cosa: o si apre un confronto serio con Conte, che finora lo ha rifiutato, oppure è meglio lasciarlo solo. Le alternative che restano sono poche. E uscire è una di queste". L'ipotesi al momento è ancora lontana, ma un deputato si spiega così la strategia di Di Maio: "Le sue parole ribadiscono una linea governista che lo avvicina ancora di più a Draghi e quell'area di centro che lo vorrebbe come premier anche dopo le elezioni del 2023. E secondo me non dispiacciono neppure al Pd che ha sempre mal tollerato le uscite di Conte delle ultime settimane". Non a caso il senatore dem Andrea Marcucci si affretta a dire che "con il M5S di cui parla il ministro Di Maio, europeista, atlantista e solidamente ancorato al governo Draghi, farei subito un'alleanza". Il problema è che nell''area Draghi' c'è anche il leader di Azione Carlo Calenda, che invece sembra categorico: "Per me Di Maio non è un interlocutore, perché ha fatto disastri", e i cinque stelle "oggi devono essere draghiani, ieri erano salviniani e domani potranno essere meloniani", per cui "Di Maio può essere draghiano, ma io di lui non mi fido". Vedremo se la situazione evolverà nei prossimi giorni e settimane. Ma appare certo, per dirla con diversi parlamentari M5S interpellati, che "questo è solo l'inizio".

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