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Vertice di centrodestra, fumata nera ad Arcore. Meloni inamovibile su Musumeci in Sicilia

Daniele Di Mario
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Dopo 109 giorni di gelo, Giorgia Meloni e Matteo Salvini rompono il ghiaccio e si rivedono, ma per parlare di unità del centrodestra è ancora presto. Il tanto atteso vertice tra i leader dei tre principali partiti della coalizione va finalmente in scena ad Arcore, con Silvio Berlusconi a fare gli onori di padrone di casa. Aperitivo in giardino, riso con melanzane, olive e pachino; branzino in crosta; gelato al pistacchio il menù preparato dagli chef di Villa San Martino. Il Cav regala ai due leader due quadri raffigurante la Madonna col Bambino, lasciando agli ospiti la scelta per l’uno o per l’altro. Salvini accetta, aggiungendo: «Ne abbiamo tutti bisogno».

 

E ha ragione. Perché, al di là della cordialità, il segretario della Lega e Meloni mantengono una certa freddezza reciproca. I due, a parte qualche messaggio scambiatosi durante la conferenza programmatica di FdI a Milano, non si vedevano dalla rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale. Il menù politico si apre con referendum ed elezioni amministrative. È poi il presidente di Fratelli d’Italia a entrare sui temi più dirimenti. Meloni chiede infatti a Berlusconi e Salvini cosa intendano fare con la legge elettorale, ricevendo garanzie da entrambi: Lega e FI ribadiscono la propria ferma contrarietà al ritorno al proporzionale.

 

La leader FdI, poi, sottolinea l’esigenza del centrodestra di dimostrare nei fatti di essere una coalizione e di comportarsi come tale, tornando a chiedere il patto anti-inciucio per evitare nuove alleanze future con Pd e M5S e un metodo sulla gestione dei collegi, che non può essere fatta sulla base dell’attuale rappresentanza parlamentare. Sulle amministrative, poi, FdI non maschera il disappunto per le divisioni in alcuni Comuni importanti, tra cui Verona, dove FI non sostiene il sindaco uscente di FdI Sboarina, avendo preferito puntare su Tosi. C’è poi la questione Sicilia con la ricandidatura di Nello Musumeci. Poco prima che Salvini vada via (è in compagnia di Roberto Calderoli che deve tornare a Roma per presiedere l’Aula del Senato e c’è un volo prenotano, viene spiegato), la Meloni pone il tema Musumeci, sul quale il segretario leghista prende tempo. Uscendo da Arcore, Salvini è comunque «molto soddisfatto»: «È stata un’ottima giornata». Poi escono Meloni e Ignazio La Russa.

L’unico a sbottonarsi è Berlusconi. «Abbiamo parlato di come sono andate le scelte dei candidati per le prossime elezioni amministrative- dice dopo l’incontro - Per quanto riguarda le città più importanti, abbiamo trovato l’accordo per 21 città, su 5 l’accordo non è stato trovato per pure contrapposizioni locali, persona contro persona, ma siamo sicuri che negli eventuali ballottaggi troveremo l’accordo. Questo è l’impegno di tutti i leader presenti al tavolo». Quanto al centrodestra, «soltanto un pazzo potrebbe mandare all’aria la coalizione - assicura il Cav - È evidente che se si disunisse perderemmo le elezioni, vincerebbe la sinistra. Ci possono essere differenti posizioni su certi argomenti ma sull’argomento principale si vince se si è uniti. Non c’è disaccordo possibile».

Alle elezioni politiche, quindi, «per me il centrodestra così com’è funziona. Abbiamo un programma unico, accettato da tutti nel 2018. Tutti abbiamo convenuto che la prima cosa da fare è stendere un programma da far conoscere agli elettori. Ho distribuito il programma, firmato da tutti noi nel 2018, e nella prossima riunione ciascuno porterà le modifiche, le aggiunte a questo programma che si ritengono necessarie».

 

Tutto a posto? Pace ritrovata? Neanche per sogno. Nessun comunicato congiunto. Cosa praticamente mai avvenuta in occasione dei vertici tra leader. Da FdI si nota un cambio di strategia, niente dichiarazioni di maniera. Il partito di via della Scrofa non vuol più far finta che tutto vada bene. E infatti a breve arriva la nota del partito.

«È sicuramente positivo essersi incontrati ma l’unità della coalizione non basta declamarla - spiega Fratelli d’Italia - Occorre costruirla nei fatti. Su 26 città capoluogo sono solo 5, ma purtroppo importanti, le città in cui il centrodestra andrà diviso al primo turno ma restano ancora diversi nodi aperti. A partire dalla non ancora ufficializzata ricandidatura del presidente uscente Nello Musumeci in Sicilia, su cui la personale dichiarata disponibilità di Silvio Berlusconi si è fermata di fronte alla richiesta di Matteo Salvini di ritardare l’annuncio del candidato. Analogamente, se è positiva la comune contrarietà a una futura legge proporzionale per le elezioni politiche, restano ancora fumose le regole d’ingaggio sulle modalità con cui formare liste e programmi comuni. Fratelli d’Italia, nel confermare la sua indisponibilità a qualsiasi futura alleanza con il Pd e M5S, confida nella stessa chiarezza da parte degli alleati, convinta che occorra essere uniti non solo nella forma ma anche nelle scelte, nei progetti e nei programmi».

Parole accolte con sorpresa e irritazione» da Berlusconi secondo quanto trapela da fonti di Forza Italia, che smentiscono la «personale dichiarata disponibilità» a ricandidare Musumeci in Sicilia.

Da FdI si spiega come la Meloni ritenga necessario ufficializzare subito la ricandidatura di Musumeci per non indebolirlo in vista delle regionali d’autunno, favorendo così la sinistra. E alle perplessità del Cav motivate da alcuni sondaggi, FdI replica sottolineando come un’alternativa vera al governatore uscente non esista. Nonostante il rinvio dell’annuncio della ricandidatura deciso da Salvini, Berlusconi avrebbe letto a Meloni e La Russa la bozza della sua dichiarazione che conteneva il suo personale sostegno a Musumeci. Un passaggio però poi sparito. Per il centrodestra non è ancora tempo di pace.

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