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"Anche Putin ha le sue ragioni". Massimo D'Alema spiazza tutti: preoccupiamoci anche delle minoranze russe

Claudio Querques
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Putin ha le sue ragioni. Che non giustificano l’aggressione all’Ucraina ma di cui si dovrà tener conto se ci si pone come obiettivo un accordo generale accettato anche dagli americani. E ancora: il governo di Kiev non ha rispettato i diritti delle minoranze russe e già da diversi anni interessi Ue e interessi Usa non sempre coincidono. 

Pillole del Massimo D’Alema-pensiero, pillole concesse a piccole dosi e sulle quali si potrebbe anche glissare se non fosse che a schierarsi è l’ex presidente del Consiglio che nell’autunno nel 1999 autorizzò l’uso del nostro spazio aereo per bombardare la Serbia. Differentemente atlantisti, verrebbe da dire. E senza rimorsi: «La nostra preoccupazione fu di fare la guerra con gli Alleati ma anche creare i presupposti per un accordo – rivendica il presidente della Fondazione Italianieuropei - I primi a entrare a Pristina furono i soldati russi che facevano parte del contingente internazionale Onu».

 

Il baffetto sempre più brizzolato, il tono saccente di chi suo malgrado si trova confinato a sinistra ma in un cono d’ombra, l’ex leader Maximo nel tempo libero si occupa di innesti e vigneti. La Tavola rotonda - organizzata a Roma, al Teatro Ambra Jovinelli da Esri Italia 2022, una delle più grandi società mondiali di geolocalizzazioni - è l’occasione per riportarlo dai suoi vigneti al terreno che predilige, la politica internazionale.

«La Russia è l’aggressore – è l'immancabile premessa - ma se vogliamo la pace noi dovremo tener conto anche delle ragioni di chi ha torto (Putin, ndr). E tra queste ragioni ce ne sono due incancellabili: la prima è che bisogna creare un quadro di sicurezza in cui anche la Russia si senta sicura, altrimenti l’insicurezza di una potenza nucleare può diventare un pericolo per tutti. La seconda è che bisogna preoccuparsi anche dei diritti delle minoranze di lingua russa che vivono nelle regioni ex sovietiche. In alcune di queste non è stato riconosciuto il diritto di lingua e di voto». Con questo ragionamento l’ex premier si colloca a pieno titolo nel partito del «sì alle armi , però...». Con una proposta in più: «Ricordo come la civilissima Italia democratica riuscì a risolvere il problema della minoranza tedesca che vive da noi, riconoscendo il diritto all’autogoverno e il Sudtiroler Volkspartei. Questa era una delle idee al centro degli accordi di Minsk ma questi accordi non sono stati applicati. E questo ce lo dobbiamo ricordare anche se non giustifica nulla di quello che poi è accaduto dopo, se l’Ucraina avesse ceduto non ci sarebbe stato più spazio per la politica». 

 

In serata d’Alema ha partecipato alla cena di gala offerta dagli organizzatori in un ristorante sul Tevere. Seduto a pochi metri da lui Matteo Salvini. Un incontro in campo neutro, si direbbe. L’ex premier, come il leader leghista, tiene molto alla sua immagine anche fuori dai Palazzi. «Abbiamo fatto la guerra insieme – ha raccontato, indicando il generale Mario Arpino, capo di Stato Maggiore durante il conflitto in Kosovo - noi volevamo che fosse l’ultima guerra balcanica e che nessuno si sentisse umiliato ma non rinunciammo a fare i politici. Io non chiusi la nostra ambasciata a Belgrado e l’Italia fu l‘unico Paese che non chiuse la sede diplomatica e mantenne un dialogo con la Serbia». Il modello, insomma, per chi non lo avesse capito, è sempre uno solo. Se stesso.

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