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Altro che regista dietro le quinte, Matteo Renzi è in campo: «Il centro sono io»

Benedetta Frucci
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«Renzi va a destra». «Renzi va a sinistra». «Nasce il centro con Toti e Brugnaro». Molti di coloro che si sono scatenati in questi anni sul posizionamento dell'ex premier, erano convinti che all'Assemblea di Italia Viva si parlasse di alleanze e così, da ultimo, hanno deciso, per non restare troppo delusi, che «Renzi apre a Letta». Evidentemente, senza aver ascoltato davvero quello che il leader ha detto e, soprattutto, quello che non ha detto. Certo, il riavvicinamento a Letta c'è stato: è iniziato con la partita del Quirinale e culminato nel voto del Pd sul caso Open, in cui Letta ha dato mandato ai suoi parlamentari di schierarsi in favore del senatore di Firenze. Ma quello esposto da Renzi sul palco della kermesse romana non è stato un piano di alleanze elettorali. È stato, semmai, un manifesto politico e culturale chiaro, in cui questa volta più che nel passato si è espresso nel solco della tradizione liberale europea, in cui si è allontanato in alcuni casi profondamente da quelle che sono le posizioni della sinistra in Italia. È partito dal conflitto in Ucraina, tenendo una posizione di forte Realpolitik, ricordando come sarebbe diversa oggi la storia se 20 anni fa si fosse avvicinata la Russia all'Europa in nome delle comuni radici cristiano-giudaiche, ma marcando anche la necessità che l'Unione e la Nato parlino con una voce sola, lanciando la proposta di Angela Merkel come mediatrice e denunciando il tentativo di sovvertire l'ordine mondiale di Mosca e Pechino.

 

 

E ancora, ha rilanciato la proposta di creare un fondo europeo per le nostre aziende colpite dalle sanzioni alla Russia, mentre la sinistra organizzava fiaccolate e sventolava bandierine della pace nelle piazze del Paese. Ha parlato a favore del nucleare in modo netto e senza sbavature, l'esatto contrario, fra parentesi, della posizione del Pd di Letta. Ha rilanciato con convinzione il Presidenzialismo, abbandonando l'espressione più soft che usava in passato per esprimere lo stesso concetto, «sindaco d'Italia». Non un caso. Ha dato ancora una volta una chiara impronta garantista al suo movimento, denunciando l'aggressione giudiziaria a cui è stato sottoposto ma anche e soprattutto facendone una battaglia culturale collettiva. Ha stigmatizzato la cancel culture, si è scagliato contro la dittatura del politicamente corretto, che abbatte statue, brucia libri e censura il pensiero. Non banale, per un ex segretario del Pd. Posizioni radicali che lo collocano in un centro che appare più vicino a Renew, il contenitore liberale europeo, che alla tradizione socialista.

 

 

Il discorso di Renzi insomma, sembra dire: io sono questo, questi sono i miei valori. Se il Pd vuole, può raggiungermi al centro, non sarò io a spostarmi verso di loro. E infatti, definisce il centro come uno spazio che non può nascere da alleanze e alchimie, ma che c'è già. E poi aggiunge: «La vera domanda è se il Pd vorrà stare qui o no». Il senatore fiorentino insomma, decide di non decidere oggi le alleanze, ma mettere in campo i valori. Questo perché sa bene che la legge elettorale vigente gli lascia aperte due strade, altrettanto valide: una, quella di allearsi con il Pd di Enrico Letta, tagliando fuori il Movimento Cinque Stelle. L'altra, quella di correre solo, al centro, proponendosi come alternativa a una destra schiacciata sui sovranisti e a una sinistra spalmata sui grillini. E chi suggeriva per lui la figura di padre nobile del centro, di regista dietro le quinte, può mettersi l'anima in pace: il programma dei prossimi mesi che snocciola dal palco lo vede in campo con assoluto protagonismo. Annuncia l'uscita di un nuovo libro e rispolvera il camper con cui da sindaco girò l'Italia. Il centro sono io, sembra dire.

 

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