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Giuseppe Conte vuole la gogna pubblica per Luigi Di Maio: nessuna tregua nel M5S

Tommaso Carta
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Una tregua «quirinalizia» nel M5S? Nemmeno per sogno. Anche nel giorno in cui prende il via il secondo settennato di Sergio Mattarella, la battaglia interna tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio non si ferma. Il pomo della discordia resta il «luogo» in cui consumare la sfida. I vertici pentastellati restano convinti di portare il ministro degli Esteri al voto degli iscritti, ma alcuni organismi sono incompleti e il collegio dei probiviri è in prorogatio, dunque fuori uso. Peraltro, sulle teste di Conte e dei suoi vice pende la Spada di Damocle del ricorso presentato da alcuni attivisti alla Procura di Napoli sulla legittimità del voto sul nuovo Statuto. In Parlamento, intanto, cresce il fronte di chi chiede che il faccia a faccia si svolga in un'assemblea congiunta. Magari già nel prossimo fine settimana, meglio se in una location lontana da Roma. Se così fosse, ancora una volta, proprio come è accaduto con la candidatura di Mattarella, sarebbero i parlamentari a indicare la strada.

 

 

Il primo passo lo hanno mosso mercoledì sera i senatori, durante la riunione settimanale del gruppo di Palazzo Madama: diversi gli interventi per chiedere di virare verso questo tipo di soluzione, da Vincenzo Presutto a Primo Di Nicola, Fabrizio Trentacoste, Daniele Pesco, Sergio Paglia, Daniela Donno e Sergio Vaccaro. Chi ha preso parte all'assemblea, però, rimarca la forte contrarietà dell'ala vicina a Conte. Nel frattempo anche nelle truppe Cinquestelle di stanza a Montecitorio si fa largo l'idea che questa sia l'unica strada percorribile, se non si vuole provocare un'implosione del M5S. Perché diversi deputati chiedono a gran voce che sia anche l'ex premier a dare spiegazioni. L'affaire Belloni è argomento che scotta ancora. «Scissione? Il Movimento è la casa di Di Maio. Però Conte deve spiegare seriamente, stavolta non può finire a tarallucci e vino», dice il presidente della commissione per le Politiche Ue della Camera, Sergio Battelli, al Corriere della Sera. «Conte aveva il mandato pieno dei nostri grandi elettori. Quindi, siccome ci sono stati diversi passaggi non chiari e tanti di noi hanno dubbi, è doveroso chiarire ciò che è successo nell'ultima notte di caos». Dello stesso tenore anche le parole del deputato Davide Serritella a La Verità: «C'è malcontento, e va ascoltato non represso. Di Maio ha avuto il coraggio di aprire una riflessione e sono queste le vie che portano le forze politiche a crescere. Non capisco perché ci si debba sentire offesi o farne una questione personale. Arrivare a minacciare Luigi di espulsione mettendo alla gogna mediatica mi pare impensabile». Il deputato piemontese, poi, teme strascichi anche nell'area progressista: «C'è da capire se abbiamo ancora alleati, ad esempio».

 

 

Conte prova a deviare le polemiche. «Non è una questione riservata frame e il ministro Di Maio: non potrei accettare che fosse messa in questi termini». Sottolinea che «chiarimento pubblico non vuol dire che siamo alle gogne. Una comunità deve poter riflettere al suo interno con tutte le sue componenti, gruppi parlamentari e iscritti». Beppe Grillo la sua l'ha già detta, anche se i dubbi sull'interpretazione del post sul «Cupio dissolvi» - se sia un endorsement per Conte o un tentativo di mediazione - restano tutti in piedi. E nessuno se la sente davvero di dare un solo significato all'uscita dell'Elevato. E intanto Alessandro Di Battista osserva e tiene le antenne dritte.

 

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